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La notte dell’Argentina

Nel 2006 ci fu anche la sentenza per i generali che piegarono l’Argentina al terrore. Nell’occasione uno dei giudici, Carlos Rozanski, riferendosi all’esperienza storica della giunta parlò di “crimini contro l’umanità, commessi nel contesto del genocidio che ebbe luogo nella repubblica argentina tra il 1976 e il 1983”[1].  

L’Argentina, come molti paesi del Sudamerica, aveva una storia politica dominata da governi militari: ancora nel 1966 i generali dell’esercito presero il potere cercando di imporre un nuovo ordine di stabilità economica e basso conflitto sociale. L’eredità di Peron però era troppo forte e la giunta lasciò il governo nelle mani del vecchio statista ancora per qualche anno. Alla sua morte il generale dell’esercito Jorge Rafael Videla fu imposto come presidente al posto della vedova Peron, facendo calare sull’Argentina una cupa dittatura fatta di omicidi politici, desaparecidos, torture e persecuzioni.

Ma non è solo questo. Le grandi multinazionali apparivano preoccupate per l’ascesa di movimenti popolari che spingevano i partiti – socialisti o populisti (come quello di Peron) a promuovere azioni statali in economia. Tra i sessanta e i settanta la cultura latinoamericana appariva in grande fermento: le poesie di Pablo Neruda e i romanzi di Gabriel Garcia Marquez, le musiche di Victor Jara e Intillimani, gli articoli di Galeano e Walsh; la teologia della liberazione[2] e molte altre sfaccettature artistiche e culturali.

Dall’altra parte Friedman e i suoi seguaci cercavano ancora un banco di prova dopo il disastro del Cile (disastro economico incredibilmente sottaciuto, sparito dalle analisi degli esperti). La colpa del disastro, secondo i guru del neoliberismo agli albori, era il troppo inquinamento “statale”. In altre parole privatizzazioni, liberalizzazioni e tagli alla spesa sociale dovevano essere più radicali. Molto più radicali.

L’Argentina offrì questa occasione. La giunta militare aveva abbastanza coraggio per realizzare lo shock necessario per fare tabula rasa del sistema peronista di ingerenza statale e riscrivere le regole – sia economiche che sociali.

“La gente era in prigione perché i prezzi potessero essere liberi” scrisse Edoardo Galeano.

Esattamente come in Cile, in Brasile, in Uruguay e molti altri paesi a sud degli Stati Uniti, le violenze e le torture si accompagnarono a politiche economiche ultraliberiste.

Sindacalisti e militanti di sinistra affollarono le carceri; in un numero oscillante tra i 20 e i 30 mila sparirono nel nulla, dando vita al tristemente noto fenomeno dei desaparecidos: uomini prelevati da casa, caricati su macchine della polizia, incarcerati, torturati e infine gettati in mare con i famigerati voli aerei della morte. Un modo per eliminare i principali oppositori politici e per terrorizzare la massa. “Eravamo confusi e angosciati…docili, pronti a prendere ordini…diventavamo più dipendenti e timorose”.

In questo clima la giunta si affidò agli economisti di scuola Friedman. I prezzi furono liberalizzati, le aziende statali privatizzate; i servizi sociali tagliati; i sindacati distrutti. Il paese fu invaso da merci straniere; le grandi multinazionali (Ford, Mercedes, Fiat) furono coinvolte nel sistema di repressione (alcuni processi sono ancora in corso) potendo rivedere i contratti di lavoro.

L’inflazione esplose; come in Cile aumento dei prezzi e abbassamento dei salari fecero da contraltare ai grandi profitti di pochi gruppi industriali e politici. Grazie alla violenza di stampo terroristico, queste misure poterono essere applicate e implementate.

Le difficoltà economiche fecero cadere ben tre generali (dopo Videla, Roberto Viola e Leopoldo Galtieri) fino alla conclusione del regime nel 1983. La dottrina neoliberista però sopravvisse alla giunta e continuò – sotto la guida e le lodi del tesoro americano e di tutta l’opinione finanziaria mondiale – fino al crac del 2001.

Una delle nazioni più ricche del sudamerica – meta di milioni di immigrati, anche italiani – si è ritrovata ridotta sul lastrico nel giro di pochi anni grazie al drammatico connubio tra dottrina economica neoliberista e abolizione della democrazia. Anche quando Financial Time, Economist, Sole 24 ore, disegnavano lodi sperticate al “modello argentino” di Menem e Cavallo – premier e ministro delle finanze dell’Argentina post-dittatura – c’erano famiglie che davano il maté ai bimbi per togliergli la fame, facevano ore a piedi per recarsi al lavoro (non potendo permettersi il bus), migliaia di morti per malattie facilmente curabili o addirittura per malnutrizione.

<?xml:namespace prefix = o ns = “urn:schemas-microsoft-com:office:office” />IL RESTO DEL SUDAMERICA 

Le storie di Brasile, Uruguay, Bolivia, differiscono dall’Argentina per pochi dettagli. In tutti i casi però possiamo individuare alcuni meccanismi identici:

1. Colpo di stato militare

2. Instaurazione di un regime militare che incarcera sindacalisti e attivisti di sinistra

3. Rapida applicazione dei punti fondamentali della dottrina neoliberista: tagli alle spese sociali (scuola, sanità, servizi, infrastrutture); apertura alle merci estere; privatizzazione delle grandi aziende statali; liberalizzazione dei contratti di lavoro e dei prezzi anche dei beni essenziali.(da completare…)

[1] Naomi Klein, cit., p.117. Il termine genocidio indica la volontà di sterminio contro un gruppo, con contro un alto numero di individui. Il gruppo di solito viene classificato  sulla base di appartenenza etnica (più spesso), razziale, nazionale o religiosa. Nella convenzione Onu non è inclusa l’appartenenza per orientamento politico, e quindi il processo non poté condannare per genocidio. Ma è proprio il genocidio contro  un gruppo politico (simpatizzanti socialisti) a cui fa riferimento il giudice argentino, quando parla di genocidio.

[2] La teologia della liberazione è una corrente di pensiero cattolica, sviluppatasi in America latina alla fine degli anni sessanta, che tende a porre in evidenza i valori di emancipazione sociale e politica presenti nel messaggio cristiano.