Premessa
L’Italia entrò un anno dopo con i fronti già attestati, per una mossa autonoma del Re che stipulò, a Londra, un contratto che metteva nero su bianco il compenso per l’ingresso dell’Italia tra i paesi dell’Intesa. Quindi il Re portò il paese in guerra per avere il Trentino, il Friuli, l’Istria e la Dalmazia. L’anno di neutralità vide una durissima conflittualità ideologica tra interventisti e non interventisti.
Nel 1911 la popolazione italiana contava 36 milioni di abitanti (2 dei quali però emigrati all’estero) in maggioranza ancora legati al mondo agricolo. In altre parole il 58% erano contadini, il 24% addetti dell’industria e artigianato e solo il 17% impiegati nel terziario.
Arruolati nell’esercito nel periodo 1915-18 furono 5.900.000 (su 7,7 milioni di famiglie); il reclutamento coinvolse cioè statisticamente i 4/5 delle famiglie, anche se ci furono punte diverse a seconda delle zone. In Toscana ad esempio quasi un uomo su due fu impegnato nell’esercito: praticamente tutti i gruppi familiari avevano un soldato in guerra. Il fronte si componeva di circa 1 milione di uomini all’inizio e circa 2 alla fine.
Chi era in prima linea?
In generale erano contadini, giovani mandati a combattere per un’idea di patria che ignoravano e per delle ragioni geopolitiche assolutamente incomprensibili. Spesso il “contadino-soldato” era legato ai valori della terra e del villaggio, non aveva istruzione, non parlava altra lingua che il proprio dialetto; in breve non aveva tensione morale, ma semplice ubbidiva agli ordini e alla chiamata dello Stato.
L’esperienza del fronte fu una esperienza devastante. Il sentimento più diffuso fu lo sgomento per una realtà inaspettata. Centinaia di poesie, diari e scritti ci danno testimonianza, più delle fredde cifre – comunque 600.000 morti, quando l’intero risorgimento ne costò 7.000 – della tragedia, dello spavento, della rassegnazione vissuta nelle gallerie di fango scavate per centinaia di chilometri lungo il confine con l’impero asburgico.
Il Carso
Il fronte più tragicamente noto è quello del Carso, di cui il fiume Isonzo rappresentò la linea naturale della carneficina. Si contarono in tre anni 12 “battaglie dell’Isonzo”, che significa come i morti non spostavano di un metro la situazione militare. L’altopiano che seppellì, tra i due eserciti, quasi un milione di giovani, è ondulato e brullo, caldissimo in estate e battuto in inverno da venti gelidi da nord est, solcato da caverne e ripari naturali. In questo ambiente le battaglie erano svolte con la strategia degli assalti: quando l’ufficiale dava il segnale al grido “Savoia”, i soldati semplici uscivano correndo dalla trincea, baionetta alla mano, per andare verso la trincea avversaria a qualche centinaio di metri di distanza. Raggiunta la quale si innescavano sanguinosi corpo a corpo con armi bianche.
In quei momenti concitati e spaventosi la possibilità di restare vivi era davvero molto bassa; non meno pericolosi erano i bombardamenti con i cannoni da trincea a trincea o gli attacchi con armi chimiche, ancora non vietate dalle convenzioni internazionali.
Oltre ai danni fisici e alla morte incombente, i militari della grande guerra vissero un particolarissimo e molto diffuso stato di perdita di coscienza e crisi di identità indotto dalla paura, dalla confusione e dagli stenti della vita militare.
Le perdite dell’Italia nella prima guerra mondiale: 650.000 morti; 947.000 feriti, mutilati e invalidi; 600.000 prigionieri e dispersi. Su 5.615.000 uomini mobilitati si ebbe un totale di 2.197.000 perdite, pari al 39 % degli uomini sotto alle armi.
Uno dei seicentomila
Questa sezione è dedicata alla memoria di Antonio Mugnai, il fratello di mio nonno (contadino del Valdarno in Toscana), “disperso in combattimento dal 03.08.1915” nell’altopiano del Carso. Apparteneva al 122° reggimento fanteria (III Armata), aveva quasi 20 anni e perse la vita nell’ultimo giorno della seconda battaglia dell’Isonzo.
L’immagine mostra la medaglia al merito, una “versione di lusso”, con tanto di foto in grande uniforme.
Sul retro della medaglietta (qui sotto) si può leggere la scritta: “forgiata col metallo del nemico”
San Martino del Carso
Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro
Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto
Ma nel cuore
nessuna croce manca
È il mio cuore
il paese più straziato.
Giuseppe Ungaretti
Valloncello dell’Albero Isolato 1916