Verso il precipizio 1770-1789
Alla fine del Settecento la Francia poteva contare circa 28 milioni di abitanti, uno degli eserciti più forti del mondo, una burocrazia e un sistema amministrativo centralizzato tra i più avanzati d’Europa. Tra i suoi cittadini c’erano le menti più in vista del continente, le sue élite culturali (i philosophes ) facevano scuola negli altri paesi; la sua aristocrazia, e ancor di più la corte di Versailles, erano un modello inarrivabile per i sovrani e i principi di tutti gli stati. Il francese era, infine, la lingua ufficiale della diplomazia internazionale. L’assolutismo sembrava ancora un sistema valido, vista anche la rovinosa sconfitta inglese nella guerra contro i coloni americani.
Le prime trasformazioni industriali (o protoindustriali) iniziavano a cambiare il volto della manifattura anche nelle tante fabbriche sparse nella campagna francese.
Quando Luigi XVI salì al trono (1774) una fase di declino e ristagno prese il posto alla lenta crescita registrata negli anni precedenti.
La crisi finanziaria precipitò nel volgere di pochi anni. Gli oneri delle guerre d’oltreoceano avevano svuotato le casse statali; i tentativi di riforma naufragarono tutti contro il veto incrociato dei vari gruppi di potere. Da una parte nobiltà e clero bloccarono qualunque tentativo di riforma fiscale che includesse le alte rendite; dall’altra le misure antiprotezionistiche del commercio trovò strenua resistenza nel potere di Parlamenti: organi locali che rappresentavano una vera e propria “falla” nel presunto assolutismo dei sovrani di Francia. Nel giro di pochi anni il dicastero delle finanze vive un via vai continuo di ministri “tecnici” che provano ricette diverse per uscire dalla crisi: prima Tourgot, poi Necker, quindi Joly de Fleury, per arrivare al 1787 a Charles Colonne.
I contrasti con aristocrazia (e clero) e Parlamenti indusse il re, nel luglio 1788, a convocare gli Stati Generali come “extrema ratio” per uscire dalla crisi. Nel decreto di convocazione venivano sollecitati “tutte le persone istruite del regno … a inviare suggerimenti o memorie relative alla prossima convocazione degli stati generali”.
La crisi, non risolvibile con compromessi parziali, richiedeva una soluzione definitiva. Anche il popolo – per la prima volta – era chiamato a dire la sua.
La situazione inedita fu la visibilità del dibattito pubblico. La politica usciva dal chiuso delle stanze di nobili o alto-borghesi per scendere in piazza, nelle strade, nelle affollate assemblee pubbliche. Una certa alfabetizzazione e la diffusione della stampa favorì questo processo di mobilitazione di massa intorno alle opinioni politiche.
Tra marzo e aprile 1789 in tutte le comunità e in tutti i quartieri cittadini i capifamiglia si riunirono per eleggere i delegati di zona che, a loro volta, avrebbero scelto i deputati per l’assemblea degli stati generali. Insieme alla nomina dei delegati furono compilati anche i cahiers de doléances (quaderni delle lamentele), ovvero rivendicazioni e richieste. I circa 60000 cahiers ci dicono di una diffusa insofferenza sia per i vecchi privilegi sia per alcune nuove misure di tipo “capitalistico”e, naturalmente, per le evidenti ingiustizie che ancora dominavano la società francese. Accanto ai chaiers ci fu un’esplosione di pubblicazioni, opuscoli, pamphlets [1] . Sul banco degli imputati il principio di privilegio detenuto, senza niente in cambio, da nobiltà e clero, rispettivamente l’1,5% e lo 0.5% dell’intera popolazione.
Quali privilegi?
* Non pagavano la taglia, cioè l’imposta sul reddito;
* Il clero riscuoteva la decima su tutti i prodotti agricoli;
* I signori dei villaggi riscuotevano censi in denaro, parte dei raccolti, pedaggi, tasse sulla compravendita di terre, dazi sul passaggio di merci;
* La legge era magnanima con nobiltà ed esponenti dell’alto clero.
[1] Il più celebre è il lavoro dell’abate Emmanuel-Joseph Sieyès Che cos’è il Terzo Stato? “che cos’è il terzo stato? Tutto! Che cos’ha rappresentato finora nell’ordinamento pubblico? Niente! Che cosa chiede? Di diventare qualcosa”.