“Più si va ad est e più lo stato interviene direttamente” (Alexander Gerschenkron). L’affermazione è inconfutabile: in Inghilterra quasi tutta l’attività economica è in mano ai privati; in Francia le infrastrutture dei trasporti (binari, stazioni, tunnel ecc.) sono a carico dello stato, il resto è affidato a imprese private. Ma già in Italia – in una certa similitudine con il caso tedesco – lo Stato deve fare il grosso del lavoro, mentre il finanziamento è affidato agli istituti bancari.
Più ad est invece tutto è sulle spalle dello Stato: è il caso della Russia degli zar e del Giappone imperiale.
LO STATO INTERVENTISTA
Le caratteristiche di intervento statale si accentuano con la crisi del 1870, definita da Habermas “crisi di legittimità” degli anni ’70-’80-’90.
Le cause della crisi sono principalmente due:
a) Espansione del movimento operaio
L’urbanizzazione, la violenza dei rapporti di lavoro nelle fabbriche e la rottura delle precedenti solidarietà di paese, produce un rapido sviluppo di movimenti di massa fortemente anticapitalistici.
Di ispirazione in gran parte marxista il movimento operaio getta sul tavolo della modernizzazione una coscienza di classe mai vista prima nella storia dell’uomo e una organizzazione politica sempre più articolata (sindacati, società di mutuo soccorso, partiti).
b) Crisi economica
Lo sviluppo industriale esaurisce la prima fase: per proseguire lo sviluppo tecnologico occorrono grandi ristrutturazioni e lo stato ha bisogno di un consenso sempre più esteso. Se non fa nulla rischia la rivoluzione.
Lo stato moderno, senza proclami altisonanti, cambia forma seguendo quattro direzioni:
1 – Intervento nell’Economia
Tramite banche e controllo dei prezzi lo Stato detta la linea al tipo di sviluppo economico che di anno in anno si dovrà fare – qualcosa di simile alle odierne leggi finanziarie.
Oppure, in alternativa, lo Stato assume a proprio carico la gestione di grandi fabbriche e di grandi imprese.
Entrambi i sistemi sono proseguiti per tutto il Novecento nei paesi europei e occidentali.
2 – Costruzione dello Stato Sociale
Dalla metà dell’Ottocento non era più possibile per la borghesia al potere dire alla classe operaia “arrangiatevi”. Il rischio di un sovvertimento sociale era così forte da indurre tutti i governanti a varare, in misura naturalmente diversa, importanti dispositivi di sicurezza sociale.
La prima grande fase è legata al nome del barone Von Bismark che in Germania, nel chiaro tentativo di arrestare l’ascesa del partito dei lavoratori, creò un modello di assicurazione statale estesa a tutti i lavoratori dell’industria, copiata negli anni successivi un po’ da tutti gli stati europei. Si tratta di provvedimenti per i casi di infortuni, malattia, disoccupazione e vecchiaia.
La caratteristica più evidente dell’introduzione di legislazioni sociali è l’avanzamento a balzi. Dopo il nodo del 1870-1900, gli altri balzi in avanti coincidono, non a caso, con le guerre mondiali: lo stato deve giustificare e risarcire della tragedia e dei morti che ha imposto alla popolazione.
E’ la seconda guerra mondiale a segnare il grande passo verso la costruzione del welfare state come lo conosciamo oggi. Tutti i paesi maturano la convinzione dei nuovi diritti dei cittadini e, seguendo l’esempio della Gran Bretagna e del Piano Beveridge, assicurano ai cittadini europei una serie estesissima di servizi sociali.
3 – Intervento politico e ideologico
Per sopravvivere lo stato liberale ha bisogno di godere di un ampio consenso nella società, sempre più “di massa”. Bisogna chiedersi come ha fatto, e come fa, lo stato a condizionare il contesto politico-ideologico dei cittadini.
La parabola dei movimenti operai dimostra chiaramente l’efficacia di questo intervento. Da un inizio di opposizione di sistema infatti, si è passati a un graduale inserimento nei meccanismi del potere fino a spaccare il fronte della sinistra, in rivoluzionari anti-sistema e riformisti che riconoscono il sistema democratico-parlamentare ma lo vogliono migliorare.
I mezzi di intervento sono stati molteplici. I più evidenti sono: il sistema educativo, il controllo dei mass media e l’attrattiva culturale verso la democrazia.
La scuola come momento di razionalizzazione e assimilazione di valori condivisi diventa una realtà con il procedere della istruzione obbligatoria. Il punto è sentito dai dirigenti, tanto che Lord Gray nel lontano 1870 ebbe a dire: “dobbiamo educare i nostri maestri” (cioè gli elettori). Sul ruolo di penetrazione psicologica e culturale ad opera dei mass media, si è consumata una sterminata letteratura sia storiografica che politica, mentre il binomio stato-democrazia – realizzato nella possibilità di votare per i governanti – garantì sempre una libertà fondamentale per capire il successo della società capitalistica.
4 – Tecnocizzazione della burocrazia
La riforma dell’amministrazione, già avviata ai primi del XIX, diventò strategica col finire del secolo. Il consenso popolare passò sempre di più dalla capacità intrusiva dello stato di agire sulla vita privata dei cittadini; spesso in maniera positiva, basti pensare alla sanità pubblica o alla educazione obbligatoria, talvolta in forme così nefaste di inefficienza e lentezza da creare alienazione del cittadino dallo stato. E’ proprio il caso dell’Italia.