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Nazione e nazionalismi

Il caso Jugoslavia

L’attentato che diede il via alla Prima Guerra mondiale avvenne a Sarajevo, per mano di un giovane bosniaco che rivendicava l’annessione della Bosnia alla Serbia contro l’impero asburgico.

Nel 1918 le rivendicazioni serbe videro riconosciuta il diritto all’autoderminazione con l’istituzione dello stato jugoslavo. Cosa successe con le altre entità etniche? La Croazia accetta lo stato unitario ma si rende conto di non avere la protezione necessaria dall’egemonia serba. Ci sono subito tensioni altissime tra serbi e croati.

Nel 1929 re Alessandro I fece sospendere la costituzione e instaurò la dittatura, dichiarandosi a capo della nazione jugoslava. Era però serbo, e qualche favoritismo alla Serbia lo fa. Gli sloveni accettano il predominio serbo in cambio di maggiore autonomia economica. Ma per i croati non era possibile accettare una situazione così. Si svilupparono gruppi estremisti, disposti alla lotta armata, imbevuti di fanatismo religioso (cattolico) e nazionalista: gli USTASCIA.

Durante l’occupazione italiana, a partire dal 1941, i rapporti di forza sono invertiti: gli ustascia formano un governo fascista collaborazionista e creano la Grande Croazia, che arriva quasi a Belgrado.

Ora sono i serbi che fanno la resistenza. Si formano gruppi combattenti monarchici CETNIKS (cetnici). Nell’estate del 1942 gli ustascia compiono massacri tra gli abitanti serbi e gli italiani non fanno nulla per impedirlo.

Dopo il 1945 il generale Tito, eroe della resistenza, promette la “fine del fascismo e la libertà del popolo” e si propose di sradicare il nazionalismo in nome del socialismo. La sua azione si svolse su tre livelli:

1) Fine nazionalismi

2) Rivoluzione sociale

3) Internazionale comunista

Il primo livello è il miglior risultato di Tito. In quaranta anni crea una società molto mescolata e tiene sotto controllo (anche con la forza) le spinte nazionalistiche.

Gli altri due livelli sono sostanziali fallimenti: la Jugoslavia non ha garantito né libertà né fine dello sfruttamento ai suoi cittadini. Nel 1948 l’Urss ruppe definitivamente con il regime di Tito; tutti i partiti comunisti del mondo si schierarono contro Tito.

Fino alla sua morte lo stato jugoslavo mantenne intatta l’integrità territoriale e politica. Ma con l’ascesa al potere di Slobodan Milosevic e la fine della guerra fredda molte cose cambiarono. Come mostra in maniera magistrale il film Underground di Emir Kustorica del 1995 il paese rimase come congelato per quasi quarant’anni passando – senza mai risolvere i problemi di coesistenza etnica – dalla guerra mondiale a una drammatica guerra civile.

Tra il 1992 e il 1995 il territorio di Croazia, e soprattutto Bosnia Erzogovina, fu teatro di una guerra sanguinosa tra gli eserciti e le truppe irregolari.

Sarajevo nell’inverno 1993
Sarajevo nell’inverno 1993

Come si è arrivati alla fine del conflitto?

La svolta si è avuta con l’intervento degli Stati Uniti. Prima appoggiando (clandestinamente) della repubblica croata, rifornendo e addestrando l’esercito regolare, poi – nell’ambito di alcune risoluzioni ONU – bombardando le postazioni di artiglieria con cui l’esercito serbo teneva sotto assedio le principali cittadine bosniache. Dal punto di vista strategico l’alleanza tra Croazia (che rinunciò così all’annessione dell’Erzegovina) e Bosnia sancì il ribaltamento degli equilibri sul campo di battaglia. In poco più di due mesi – da agosto a novembre – la controffensiva delle forze croato-bosniache e i bombardamenti della Nato indussero Milosevic a firmare gli accordi di pace e a dare inizio al lungo dopoguerra Jugoslavo.

Protagonisti e altro

Solbodan Milosevic – presidente della repubblica di Serbia e Montenegro

Franjo Tudjman – presidente della repubblica di Croazia

Karadic, presidente repubblica serbo-bosniaca, ricercato dal tribunale internazionale dell’Aja ancora latitante

Mladic / Arkan sono solo alcuni dei più terribili capi militari dell’esercito serbo, responsabili dei più efferati massacri tra le montagne e le città della Bosnia.

Krajina – territorio croato abitato in maggioranza dai serbi che fu annesso dalla Serbia all’inizio del conflitto e poi “liberato” nel 1995 durante la fortissima controffensiva dell’estate. Seguì una dura politica di pulizia etnica a danno dei serbi espulsi dalle loro case, oppure mal tollerati dal nuovo stato.

Il ponte di Mostar – simbolo dell’unione delle due culture musulmana e croata, il caratteristico e antico ponte fu cannoneggiato e abbattuto dall’esercito croato durante la guerra tra croati e bosniaci nel 1993. Oggi è stato ricostruito e riconsegnato alla città, ancora nettamente divisa tra quartieri cattolici-croati e musulmani-bosniaci.

Appendice

Il Kosovo e la guerra della Nato

“Tutto è cominciato e tutto finirà in Kosovo”. Era una profezia che, a quanto pare, si è avverata. Con la creazione dell’esercito di liberazione UCK l’inensità dello scontro con il potere di Belgrado fa un salto di qualità: la tipica resistenza passiva delle popolazioni albanesi diventa guerriglia. La reazione di Milosevic è una repressione militare in stile bosniaco.

Ancora sotto choc per l’insopportabile attendismo mostrato nel corso del conflitto bosniaco, la comunità internazionale mostra il pugno di ferro, intimando a Milosevic il ritiro delle truppe con alcune risoluzioni ONU. Dopo il fallimento dei negoziati di pace di Rambouillet (1998-99) MA SENZA il mandato ONU la Nato procede ad un’azione militare contro le città Jugoslave. Per quasi tre mesi Belgrado fu bersaglio dei bombardieri americani e britannici. A giugno Milosevic ritirò le truppe dal Kosovo, concludendo così il tragico decennio dell’ex-jugoslavia. Il Kosovo è passato ad un’amministrazione ONU anche se formalmente rimane una regione della repubblica di Serbia-Montenegro.

Slovenia e Macedonia sono riusciti a tenersi fuori dal conflitto, anche se la Macedonia ha un contingente della UE come forza di interposizione.

[1] Croazia cattolici; Serbia cristiano-ortodossi; Bosnia-musulmani.