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Nazione e nazionalismi

L’Imperialismo

Indubbiamente il concetto di nazione è connesso strettamente all’età degli imperi. Gli anni compresi tra 1870 e il 1914 unirono il rafforzamento del concetto di nazione con l’espansione extra-territoriale del potere dello stato nazione. Erano stato, nazione e impero la Germania, la Russia, l’Austria, l’impero Ottomano, la Gran Bretagna, la Cina, la Persia. Gli Stati Uniti, dal proclama Monroe del 1824, esercitavano “di fatto” un protettorato economico sull’America Latina.

La gran parte del territorio mondiale viene colonizzato in questi anni: in Africa solo Liberia, Etiopia e Marocco non sono colonie di paesi europei; tutta l’Asia è sottomessa a Russia, GB, Francia, Giappone, Olanda e Cina.

Perché c’è questa spinta al colonialismo?

Le ragioni sono molteplici. Naturalmente il fattore economico è preponderante, ma esistono anche motivazioni culturali e politiche. In generale possiamo individuare due fattori che crearono il contesto che favorì la corsa alla colonizzazione:

1) globalizzazione dell’economia

I nuovi mezzi di trasporto e la crescita industriale avvicinarono i paesi europei a quelli di Africa e Asia e, allo stesso tempo, ne resero indispensabile il contatto. Le materie prime, necessarie per le fabbriche dei paesi industrializzati, si trovavano in grandi quantità nei paesi tecnologicamente arretrati. Intere economie furono orientate alle produzioni utili ai paesi colonizzatori; distruggendo la struttura pre-esistente e riducendo quasi tutto il lavoro a uno o due prodotti per l’esportazione.

2) riscatto nazionale

Spesso la spinta espansionista è più forte nei paesi meno sviluppati economicamente, che sperano nel riscatto coloniale una compensazione a questa inferiorità. Usa e Germania – i due paesi più solidi economicamente a inizio ‘900 – sono coinvolti solo marginalmente nell’imperialismo.

N.B. Non sempre la colonia ha rappresentato un vantaggio al paese dominante.

Culturalmente l’imperialismo ha servito la causa del nazionalismo. E’ molto esplicito l’avventuriero e imperialista inglese Rhodes (capace a fine ottocento di conquistare con un suo esercito una vasta area dell’Africa meridionale): “Per evitare la guerra civile bisogna diventare imperialisti”. Introduce il concetto di imperialismo sociale cioé l’espansione coloniale usata per alleviare il malcontento interno.

Tramite lo sfruttamento economico le masse del paese dominante traggono qualche vantaggio;

tramite la propaganda, governo e classi dominanti, riescono a ottenere solidarietà vastissima in tutti gli strati sociali. Inoltre, individuando un “altro”, riescono a coinvolgere l’intera popolazione nell’orgoglio di appartenere a uno stato-impero, rafforzando l’identità collettiva di stampo nazionalista.

Il caso inglese spiega meglio di ogni altro il salto di qualità del colonialismo “moderno”. Nel 1902 il nuovo re è salutato ponendogli sul capo una corona “quale simbolo del predominio mondiale della nostra razza”. Si affaccia il legame tra razza e nazione. La popolazione viene inondata di propaganda nazionalista, imperialista, razzista; viene istituita la festa dell’impero, vengono innalzati numerosi monumenti.

Come accoglie questa propaganda la popolazione?

La classe abbiente era sensibile soprattutto ai vantaggi materiali della situazione. La piccola borghesia è la più entusiasta dell’esperienza coloniale: andando nei possedimenti è automatico il salto di categoria nella scala sociale.

La classe operaia – sensibile alla propaganda socialista internazionalista – non sfugge al fascino dell’impero. A seconda del momento emerge l’una o l’altra. Quando nel 1901 viene annunciata la vittoria in Sudafrica sui boeri, i portuali di Liverpool festeggiano. Di grande attrazione è l’idea di far parte di quella parte di umanità “avanzata” e “civile”; dall’altra parte c’erano i “selvaggi” e gli “incivili”.

I tempi erano maturi per un ulteriore salto di qualità. Con la guerra mondiale il concetto di nazionalità assurge a elemento univoco per determinare l’assetto geopolitico del mondo. L’esasperato nazionalismo andato in scena nel corso dei terribili quattro anni di conflitto prepara il terreno ad una sciagurata conferenza di pace, che assume l’autodeterminazione nazionale come ideale forte nella contrattazione territoriale della nuova Europa.