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Rivoluzione comunista

La rivoluzione russa

Il modello rivoluzionario non esisteva, e non esisteva soprattutto una idea precisa di come sovvertire il potere e di cosa fare una volta conquistato questo potere.

Secondo Marx è un processo naturale della storia, il passaggio successivo alla rivoluzione borghese. Lo schema elaborato ha il dono della chiarezza: una volta raggiunto un certo livello di sviluppo i proprietari si scontreranno con i lavoratori a causa delle contraddizioni sociali del sistema capitalista e si giungerà alla rivoluzione comunista.

Il lavoro del partito e del movimento comunista deve essere, nella visione marxista, quello di sviluppare la coscienza di classe tra le fila degli operai.

Dopo la breve esperienza della Comune del 1871 i rivoluzionari socialisti dovettero aspettare il nuovo secolo e spostarsi ad est per conoscere la gioia della vittoria.

IL CASO RUSSIA

In assoluta contraddizione con le ipotesi di Marx la presa del potere riuscì nei paesi meno industrializzati: la Russia e, nel dopoguerra, la Cina. Le condizioni della Russia zarista nel 1917 parlano chiaro: 150 milioni su 188 sono contadini, la classe operaia conta circa due milioni di lavoratori concentrati tutti a Mosca e Pietrogrado nelle grandi fabbriche statali. Più facile è stato per Antonio Gramsci affermare che “è più facile fare la rivoluzione ad est” analizzando il dato di fatto che una contrapposizione tra proletariato di prima generazione e lo Stato – padrone sul lavoro e detentore del potere politico – rende molto più semplice la riuscita della rivolta.

Per capire le ragioni di un movimento tanto forte dobbiamo andare nella Pietrogrado (poi Leningrado e oggi San Pietroburgo) d’inizio secolo. Non dobbiamo dimenticare che il vento rivoluzionario iniziò a spirare forte dal 1905, all’indomani della disastrosa sconfitta militare patita dal Giappone.

I lavoratori dell’industria nella capitale (Pietrogrado non Mosca) venivano nella quasi totalità dalla campagna: vivevano in case sovraffollate, privati delle più elementari norme di igiene e di intimità, immersi in un mondo alienante con pochi bambini, pochi vecchi…Il quartiere operaio era costituito per lo più da maschi con età tra i 20 e i 40 anni in genere ex-contadini (con le famiglie lontane) e scapoli. Disponibili a fare la rivoluzione. Anche la struttura urbanistica della città spingeva verso un recrudescenza dei rapporti: da una parte del fiume c’era il quartiere di lusso, esattamente di fronte il suddetto quartiere operaio.

Alle molte interpretazioni sulle cause della rivoluzione – contingenza politica, contrasto tra le élite, difficoltà economiche e contrasto tra dirigenti e popolazione- andrebbe affiancato una lettura molto accorta delle condizioni sociali/psicologiche su cui si è sviluppata l’idea del sovvertimento politico che, non dimentichiamolo, è sempre l’ultima strada che il popolo, inteso come maggioranza (o minoranza significativa), vuol percorrere.

La storia secolare delle campagne russe aiuta in questo senso a trovare altre ragioni causali. La caratteristica gestione collegiale/patriarcale delle terre agricole ad opera del MIR (consiglio composto da anziani capofamiglia e ricchi proprietari) facilitò la penetrazione delle idee socialiste anche nelle campagne.
Su questo punto è curioso ricordare la posizione di Carl Marx, il quale al tempo del movimento dei Narordik (1881) ritrattò in parte le sue precedenti affermazioni (“i contadini sono un sacco di patate”) per ammettere una possibile azione di sostegno delle campagne alla lotta operaia delle città. Lenin si rifà a questi scritti (corrispondenza Marx-Zasulic) per sostenere la riuscita della rivoluzione in un paese non industrializzato come la Russia d’inizio secolo.