Habarovsk, 16 agosto 1991
“Anche a occhi chiusi ormai riconosco il socialismo. Forse è l’odore della benzina mal raffinata, ma appena mi affaccio al portellone dell’aereo che mi ha portato qui, so che sono arrivato in uno di quei paesi dove i poliziotti ti guardano come se tu avessi appena commesso un delitto, dove bisogna fare attenzione a quel che si scrive nella dichiarazione della dogana, dove bisogna pensare che i telefoni sono ascoltati, dove i dollari, unica vera moneta del mondo, specialmente quello non capitalista, valgono una certa cifra al mercato ufficiale e un’altra al mercato nero… Ormai ci ho fatto l’abitudine. Lo so. Apro gli occhi e tutto il resto segue l’odore del socialismo: la confusione, la sporcizia, le urla, i pacchi legati con lo spago, gli eterni lavori in corso, i tubi per terra su cui si inciampa, una pericolante passerella di legno su una fossa aperta e mai richiusa, proprio davanti all’uscita dell’aeroporto e che ora tutti i passeggeri in partenza e in arrivo debbono attraversare.”
Tiziano Terzani, Buonanotte signor Lenin (1991)
L’Unione Sovietica, a dispetto della facciata da superpotenza, era giunta agli anni ’80 in una situazione di crisi strutturale molto più avanzata di quanto apparisse agli occhi di tutti gli osservatori, occidentali o comunisti. Ogni campo di intervento statale era in difficoltà.
ECONOMIA
Nell’immediato dopoguerra grande crescita del PIL (+11%) poi l’economia si fece sempre più stagnante. Il consigliere di Gorbaciov, Aganbegyan, nel 1987 rivelò una crescita pari a zero! Come è stato possibile questo crollo? Da una parte i Kolcholzy, le fattorie collettive, risultarono un vero disastro: inefficienti e costose, obbligarono l’Urss ad acquistare il grano dall’estero (nell’800 era il maggior esportatore mondiale).
Un altro elemento che affossò l’economia sovietica fu l’incapacità di far funzionare la distribuzione e il trasporto dei beni di consumo. Andropov, predecessore di Gorbaciov, valutò in circa 1/3 delle ore lavorative il tempo sprecato in attività improduttive.
BUROCRAZIA
Nel dopoguerra diventa – accentuando il carattere già emerso nel corso della stabilizzazione degli anni ’20 e ’30 – un vero e proprio macigno allo sviluppo del paese. nasce la “nomenklatura”: un gruppo di funzionari conservatori e privilegiati, contrari a qualunque riforma… In pratica il potere burocratico sostituisce il potere politico.
STATO SOCIALE
La repubblica socialista inizialmente dà ai cittadini sovietici servizi sociali impensabili nel regime zarista. Fino agli ’60 l’attenzione dello stato nel campo dell’istruzione, della sanità, dell’educazione sportiva era all’avanguardia mondiale (il 25% degli scienziati e la metà degli ingegneri del mondo sono sovietici). Ma l’elefantiasi burocratica col tempo soffocò anche questi settori: i medici passavano più tempo a compilare moduli che a curare i pazienti e a studiare le malattie. Con gli anni ’80 nella società comunista ricompare la povertà di massa: 20% sulla soglia di povertà; alcolizzati a livelli record e nuove sacche di emarginazione.
CONSENSO POLITICO E IDEOLOGICO
Paradossalmente la popolazione russa degli anni ’80 è la meno politicizzata del mondo. Dominano apatia e cinismo, disinteresse e fatalismo. La partecipazione alla vita pubblica e politica è praticamente zero e la capacità del regime di convincere della superiorità del sistema sovietico è fallimentare sotto tutti i punti di vista. In questo contesto si fece strada la piaga mafiosa e l’esplosione dell’illegalità: mercato nero, traffico di droga, oro, armi, valuta straniera.
Il comodo torpore
Dal punto di vista sociologico la maggioranza della popolazione era piuttosto assuefatta al sistema di vita sovietico. Quello che è stato definito come “comodo torpore” (tenore di vita basso ma sufficiente, sicurezza sociale e sostanziale “diritto all’ozio”) ha funzionato più come freno alle riforme che come motore per il cambiamento. A mettere in discussione il sistema non fu la base dei cittadini ma una èlite di ceti medi istruiti e tecnicamente preparati. Appunto la classe di provenienza di Michail Gorbaciov.
Michail Gorbaciov
Giovane segretario del PCUS proveniente dai quadri “tecnici” del partito, riassumeva le qualità normalmente assenti nella stragrande maggioranza dei funzionari di partito. Con coraggio e determinazione riesce ad avviare un’azione risanatrice sul piano interno e un’azione di portata storica sul piano internazionale.
Fuori dai confini l’immagine dell’ultimo leader comunista resterà per sempre legata alla fine della guerra fredda; con gli accordi di Reykjavik (1986) e Washington (1987) firmati con il presidente Usa Ronald Reagan, scompare l’incubo di una guerra nucleare.
Più difficile invece risollevare le sorti dell’economia sovietica.
Il tentativo di Gorbaciov si articola lungo due grandi progetti di riforma: la Glasnost (trasparenza, ovvero riforme istituzionali per aprire al meccanismo democratico di libere elezioni con pluralismo politico) e la Perestrojka (ristrutturazione, ovvero apertura moderata ai meccanismi del libero mercato allo scopo di rivitalizzare la produzione, l’efficienza e la distribuzione). In effetti fu proprio questa miscela a far precipitare il mondo comunista nell’agonia definitiva. Nel distruggere il sistema d’autorità del partito unico, infatti, la riforma riuscì, investendo di nuovo potere le repubbliche federali e gli organi statali. Il fallimento del quadro economico, invece, peggiorò il tenore di vita dei cittadini: proprio in coincidenza dei primi passi verso democrazia e pluralismo il paese sprofondava nel caos e nell’anarchia economica (nel 1989 per la prima volta l’Urss non approntò un piano quinquennale). Fu una concomitanza esplosiva.
Quando si ruppe il laccio dell’autorità del partito unico, andò in pezzi l’intero sistema delle repubbliche socialiste. La svolta si ebbe nel 1991 all’indomani del tentato colpo di mano del vertice del partito. Era un tentativo per salvare il partito e con esso l’Unione Sovietica, minacciata (secondo i vice di Gorbaciov) dalle riforme in corso. Il fallito “golpe” (termine improprio) ebbe come conseguenza l’ascesa politica di Boris Eltsin, presidente della repubblica federale russa e protagonista mediatico della rivolta di Mosca, il quale sfruttò il discredito del Pcus per promuovere un accordo con gli altri presidenti delle repubbliche socialiste, per smembrare la Federazione Sovietica e sostituirla con la Comunità di Stati Indipendenti C.S.I., un’associazione più virtuale che reale, di nessun peso politico.
Il 25 dicembre 1991 la bandiera rossa fu abbassata dal palazzo del Cremlino dopo 74 anni.