La figura e l’opera di Stalin ha diviso la storiografica in quattro differenti interpretazioni:
1 – Scuola americana
“Stalin applica il leninismo puro, senza alterazioni”
E’ la posizione sostenuti da storici come Ulam, Brezinski e Koestler. Per loro la modernizzazione del paese, con le premesse dittariali conferite al potere da Lenin, non poteva essere realizzato in altro modo.
2 – Comunisti ortodossi
Fino al 1956, esponenti come Togliatti sostenevano una contiguità tra Lenin e Stalin, per poi prendere le distanze dopo le rivelazioni di Krushev. E. Carr, storico comunista inglese esalta l’opera di Lenin e considera Stalin il proseguimento terribile ma necessario della rivoluzione. Per Carr la dittatura stalinista era l’unica alternativa, in Russia, al fascismo.
3 – Trockisti
Secondo il vecchio leader bolscevico Trockij lo stalinismo aveva affossato la rivoluzion. Nessuna autocritica rispetto al modello leninista e alle contiguità tra i due sistemi.
4 – Scuola contemporanea
Chon, Smytchka sono i principali esponenti di una analisi che punta ad indentificare le differenze e le conseguenze nella società sovietica delle due fasi politiche.
In particolare è da notare come il culto della personalità , riflesso di una psicologia paranoica e sfiduciata in Stalin, non esisteva in Lenin. Egli impose la sua guida al comitato centrale come risultato di una impostazione gerarchica, non come accentramento personale del potere.
Non per nulla il partito, considerato da Lenin lo strumento fondamentale del potere, è rapidamente accantonato nella struttura politica messa a punto da Stalin. Negli anni ’30 è la polizia politica ad avere carta bianca anche su esponenti del partito, dipendendo direttamente dal capo.
Lenin e Stalin
Riguardo alla questione contadina l’atteggiamento dei due leader è sensibilmente diversa; mentre Lenin evitò di contrapporsi in modo netto al mondo rurale (insofferente alle pratiche di collettivizzazione), Stalin attuò la linea dura dello scontro. Dal ’28-’29 si aprì una vera e propria guerra tra stato e campagna: l’inquadramento coatto nei kolchozy (aziende agricole statali nelle quali i partecipanti utilizzano collettivamente la terra e i mezzi di produzione) provocò una resistenza durissima, fatta macellando in massa il bestiame e riducendo le aree seminative. Il patrimonio zootecnico scese paurosamente, ma assolutamente drammatico è il conto delle vittime, non certificato, ma senz’altro dell’ordine di milioni (7, 8, 9 forse). In più riprese, la collettivizzazione forzata delle campagne, riuscì; basti pensare che nel 1940 ben il 96.9 per cento delle aziende erano collettive.
In politica estera la concezione del socialismo possibile in un solo paese appartenne solo a Stalin. Lenin credeva nell’internazionalismo, e vedeva la necessità di proseguire l’espansione verso occidente. Stalin viceversa abbandonò le prospettive di espansione e puntò tutto sul rafforzamento del potere imperiale russo, all’interno dei confini e nei confronti delle altre nazioni. L’internazionale comunista, con affiliati tutti i partiti comunisti del mondo, divenne uno fedele strumento nelle mani del governo sovietico.
Riguardo alla società civile Lenin adottò una linea di tolleranza. Per tutti gli anni della NEP (Nuova Politica Economica – 1922-’28) le attività artistiche e culturali, le associazioni e le iniziative pubbliche non erano sottoposte all’ideologia comunista. Con Stalin la società civile cessa di esistere. L’accademia delle scienze, nel 1934 è composta da soli comunisti, fino a pochi anni prima c’era 1 solo iscritto al partito. La storia viene riscritta, la cultura e l’arte pilotate. La vita privata è costantemente controllata dall’autorità statale.
Verso la famiglia le politiche di Lenin e di Stalin riflettono le due diverse impostazioni (in nome della rivoluzione le scelte di Lenin; per rafforzare lo stato, quelle di Stalin). Nei primi anni della rivoluzione- nel 1918 e nel 1926 i codici familiari – furono emanate normative incredibilmente permissive e antiburocratiche: nessuna restrizione per pratiche di aborto, semplice comunicazione per il divorzio e, quasi abolito, il matrimonio civile. Le conseguenze non furono positive; gli abbandoni di donne e bambini da parte degli uomini furono numerosissimi, così come il ricorso da parte di giovani e giovanissime donne ad aborti (anche più di uno l’anno). In conseguenza anche della guerra civile, alla metà degli anni ’20 c’erano in Russia tra i cinque e i sei milioni di minori abbandonati; frequenti anche le bande di giovani delinquenti.
Nel 1933, Stalin, pone la famiglia come nucleo fondamentale dello stato socialista. L’aborto viene abolito nel 1936; il divorzio reso difficile, i ragazzi di strada tutti integrati nell’esercito o reinseriti forzatamente nella società. Viene mantenuta la parità giuridica tra uomo e donna.
Su di lui hanno detto…
Molto interessanti sono le considerazioni in merito alla riuscita modernizzazione realizzata da Stalin, negli anni ’30, assolutamente indispensabile per la vittoria nella seconda guerra mondiale. Nove , uno storico non stalinista, considerava la NEP un pasticcio senza prospettive, al quale sarebbe succeduto un caos istituzionale e un probabile scivolamento a destra. Nel suo testo “Fu veramente necessario Stalin?” ribadisce il legame tra industrializzazione forzata – realizzata dai piani quinquennali – e la vittoria sulla Germania nazista. Bisogna ricordare che i piani quinquennali, a differenza di quanto successo in campagna, segnarono un momento di grande consenso nelle città, e trasformarono la Russia da paese arretrato e agricolo, a potenza mondiale in soli dieci anni.
Altri sostenevano – come l’economista Miller – invece che il sistema NEP aveva le capacità di sviluppare l’Unione Sovietica senza ricorrere allo stato di guerra permanente imposto da Stalin.
Oscar Lange, un economista socialista degli anni ’30, ebbe a dire in letto di morte ad amici e ammiratori in visita:
“Se fossi nato in Russia negli anni ’20 sarei stato un gradualista buchariniano (…) avrei raccomandato obiettivi più flessibili e limitati. E tuttavia, quando ci ripenso, torno sempre a chiedermi: c’era un’alternativa alla indiscriminata, brutale e fondamentalmente disordinata corsa in avanti del primo piano quinquennale? Mi piacerebbe dire di sì, ma non posso. Non posso trovare una risposta.”
Il grande rivoluzionario anarchico e bolscevico Victor Serge, deportato in kazachistan e poi esiliato alla fine degli anni ’30, resta del parere che la politica totalitaria di Stalin sia stata controproducente anche dal punto di vista economico, oltre che disumana e antirivoluzionaria.