La rivoluzione d’ottobre deve la sua riuscita alla volontà di Vladimir Ilic Lenin, capo della corrente bolscevica del partito socialdemocratico, di tentare la presa del potere anche in mancanza di quelle che i marxisti ortodossi pensavano dovessero essere le condizioni indispensabili per fare la rivoluzione (maggioranza della classe operaia, implosione quasi naturale del sistema capitalista).
L’ascesa politica di Lenin avviene con la proclamazione del governo borghese e con la sconcertate scelta di proseguire la guerra. Nelle tesi di aprile – siamo già nel 1917 – Lenin dichiara di voler fare subito la rivoluzione: “le idee sono grigie, verde è l’albero dell’azione” (citazione del Faust di Goethe “è grigia, caro amico, qualunque teoria, verde è l’albero d’oro della vita” – Faust, a cura di F.Fortini, Mondadori, Milano 1980, I, pp.154-155).
In pratica il successo si spiega con una concomitanza di fattori
a) Vuoto politico della classe borghese
b) Attrattiva dello slogan di Lenin: “Pane e pace per tutti”
c) La riuscita del sistema dei Soviet
d) La forza del partito sul parlamento
“Tutto il potere ai Soviet”
I soviet sono letteralmente i Consigli di Fabbrica. Nel corso del tentativo rivoluzionario del 1905, il partito socialdemocratico russo – a dispetto del nome il più estremista dell’arco politico – ne fece una bandiera del potere dei lavoratori da contrapporre al potere costituito.
In “Che fare? “ (1905) Lenin ne tratta solo marginalmente, era più che altro TrockJi ad avere fiducia nel sistema.
Invece nel febbraio 1917 è lo stesso Lenin a riproporre i Soviet come potere parallelo al potere borghese, e lo fa con la consueta forza immaginativa: lo slogan “tutto il potere ai soviet” passa in breve tempo dalle parole alla realtà.
Nell’estate 1917 Lenin scrive il suo lavoro più utopistico (“Stato e rivoluzione”) dove pone al centro il sistema dei soviet, largamente ispirati alla Comune di Parigi e alla democrazia diretta. Pochi mesi prima del putsch vincente il capo dei bolscevichi parla di “fine dello stato”, di abolizione del controllo statale, di autogestione dei soviet ecc.
L’adesione dei lavoratori ai soviet incrementò sempre più nei mesi di agosto, settembre e ottobre; la coesione politica del governo apparve sempre più sfilacciata e Lenin spinse fortemente per un colpo di mano.
In poche ore e con un solo morto, il Palazzo d’Inverno fu preso la mattina del 2 novembre 1917: il potere comunista iniziava la sua più lunga esperienza di governo.
Rivoluzione tra utopia e realtà
Martov, leader dei menscevichi pensava che non fosse il momento di fare la rivoluzione, per tutta una serie di motivi, non ultimo l’isolamento e l’ostilità internazionale. Lenin e i bolscevichi invece erano convintissimi che la rottura “dell’anello debole” dell’imperialismo (la Russia) avrebbe portato altri paesi sconfitti – in primis la Germania – a seguire l’esempio rivoluzionario.
Non andò così e quasi tutti gli auspici della rivoluzione andarono perduti dopo solo 4 anni:
a) I soviet vengono esautorati
Tra i due poteri concorrenziali – partito e soviet – dopo la presa del potere ha predominanza il primo. Anzi in misura ancora più ristretta il solo Comitato Centrale del Partito Comunista. Nel corso della guerra civile, scatenatasi in terra di Russia tra il 1918 e il 1920, l’emergenza implica un accentramento di poteri che non sarà più revocato. Di grande esemplarità è l’episodio di Kronstad.
La base militare di Kronstad rappresentava una delle roccaforti della rivoluzione, con un soviet di marinai fortissimo. Finita la guerra civile loro chiedono con grande insistenza il ritorno alla “democrazia del proletariato” con il ripristino dei soviet. Nella primavera del 1921 invece la loro protesta diventa sommossa, e la sommossa una repressione sanguinosa.
b) Dittatura del Comitato Centrale all’interno del PCUS
Anche in questo caso il 1921 è la data cruciale. A seguito dell’iniziativa di Alexandra Kollontaj, una brillante intellettuale comunista fondatrice di “Opposizione Operaia”, il gruppo dirigente, con Lenin e Trockji in prima linea, impone il divieto di discussione all’interno del partito. E’ importante notare l’atteggiamento sacrale che i due capi della rivoluzione russa hanno nei confronti del partito: essi pensano a una partito “anima” della rivoluzione, depositario di tutta la giustizia e accentratore di tutte le virtù. Trockij: “Non c’è salvezza al di fuori del partito”. Inoltre Lenin non aveva alcuna predisposizione verso il pluralismo, mette fuorilegge gli altri partiti, anche i socialisti, e non risparmia accuse di tradimento a chi non la pensa come lui.
I soviet vengono esautorati quando i bolscevichi perdono la maggioranza; era solo un utilizzo strumentale della democrazia diretta, lui crede veramente solo nel partito.
c) Collettivizzazione forzata
Seguendo il marxismo classico pensavano al socialismo nelle campagne come abolizione della proprietà privata e collettivizzazione della terra.
Considerare i contadini come degli operai si è dimostrato il dogma ideologico più catastrofico dell’intera storia comunista.
Il problema centrale, su cui si sono scontrati generazioni di rivoluzionari, è la volontà ancestrale dei contadini a desiderare un pezzo di terra proprio, come garanzia di sussistenza e di benessere (anche di identità?).
Inizialmente Lenin non andò contro ai contadini. I MIR furono ristrutturati, modernizzati, ridisegnati in base agli espropri dei Kulaki (ricchi proprietari) e alla distribuzione di terra ai contadini poveri. Poi tenta una collettivizzazione a tappe ma non riesce. La questione non è risolta alla morte del leader. Sarà Stalin ad applicare “alla lettera” le teorie marxiste in merito alla collettivizzazione della terra.
Opinioni
La dimensione del fallimento della rivoluzione comunista, nei valori non nel potere che invece si è consolidato, è stata interpretata in maniera diversa dalla storiografia:
1 – “Leninisti”
Sono autori di grande fama, come l’inglese E.H. Carr e il tedesco Isaac Deutscher. La loro posizione si può riassumere nell’affermazione che:
“le idee sono giuste, le intenzioni pure, ma mancavano le condizioni: ci hanno provato ma era impossibile”
Le condizioni, obbiettivamente durissime, sono giudicate la causa vera del tradimento dei principi rivoluzionari. In particolare l’ostilità internazionale, culminata nella guerra civile e nel lungo isolamento economico, impedirono lo sviluppo di forme più democratiche del socialismo.
2 – “Anticomunisti”
Rappresentati da storici statunitensi Adam B.Ulam e Isaac Shapiro, questa corrente imputa alla formazione culturale di Lenin e degli altri dirigenti bolscevichi il risultato antidemocratico della rivoluzione. Definiti “un gruppo di avventurieri”, i bolscevichi sono considerati una nuova élite che si è sostituita a quella precedente nello sfruttamento della popolazione.
3 – Combinazione di ragioni oggettive e soggettive
Come sintesi di condizioni difficili e carenze ideologiche, sul versante di democrazia e diritti umani, è illuminante la descrizione fatta da molti rivoluzionari “traditi” dall’atteggiamento del PCUS al termine del conflitto. In particolare si veda le opere di Victor Serge (su tutti: “Memorie di un rivoluzionario”)