Estratto dall’ebook “Storia contemporanea” di David Mugnai
Sapiens, l’origine della specie
Omaggio al capolavoro “Da animali a dèi” di Yuval Noah Harari e altri aggiornamenti
Tutti hanno in mente quel gioco dell’enigmistica, molto semplice, che consiste nel seguire la numerazione e unire i puntini. A quel punto si visualizza una figura, una forma, che dà senso a quello che non si vedeva.
Lo storico israeliano Yval Noah Harari ha presentato nel 2011 un lavoro che, come ha detto Roberto Saviano in un’intervista del 2019, “ha letteralmente riscritto il percorso umano su questa terra”. Lo ha fatto per l’appunto “unendo i puntini” della conoscenza accumulata in diverse, e talvolta distanti, discipline: storia, paleoantropologia, archeologia, psicologia, arte, filosofia, tecnologia, scienze.
Il risultato è davvero straordinario e apre a insospettabili scenari sul nostro lontano passato; e allo stesso tempo fornisce chiavi di comprensione per tutto il percorso della specie umana.
Harari inizia il suo percorso inserendo la comparsa della specie umana nel contesto della storia universale: 13,5 miliardi di anni fa compare la materia (big bang); 4,5 miliardi si forma il pianeta terra; 3,8 miliardi i primi essere viventi (batteri); a circa 6 milioni di anni fa risale un mammifero progenitore comune di umani e scimpanzé; a 2,5 milioni i primi esemplari del genere Homo. La specie Sapiens compare intorno ai 300 mila anni fa in Africa. Sulla scala del tempo praticamente un battito di ciglia. Numeri talmente al di fuori della nostra concezione da essere letteralmente incomprensibili.
Comunque.
Ormai da tempo è noto che la famosa immagine della scimmia che evolve in una serie di homo sempre più sofisticata, dall’australopiteco fino ad arrivare al “sapiens sapiens”, è del tutto fuorviante. Il genere Homo si era sviluppato, talvolta in contemporanea, in diverse specie: non più una linea evolutiva, piuttosto un cespuglio.
Quando il Sapiens Sapiens (cioè noi) arriva sulla scena esistevano già altri “uomini”, non troppo diversi dal punto di vista fisico. Harari, riportando le immagini ricostruite delle varie specie presenti tra Africa ed Eurasia mostra quanto questi fossero simili tra loro.
Per quel che riguarda il luogo di origine, la cosa è stata considerata acquisita: la culla dell’uomo è la savana dell’Africa orientale. Con i cambiamenti climatici che hanno trasformato e ridotto le foreste, una parte di ominidi si è adattata alla vita nella savana, sviluppando insieme alla capacità di stare in posizione eretta anche una maggiore socialità, necessaria alla sopravvivenza. Circa due milioni di anni fa l’australopiteco iniziò a spostarsi fino ad arrivare in Asia e in Europa, dando vita – per evoluzione – a specie diverse: il Neanderthal in Europa, il Denisova nell’area russo-siberiana, l’ Erectus in Asia; almeno sei specie diverse in contemporanea. Il sapiens Sapiens compare nella Rift valley (Africa orientale) e per oltre centomila anni vive lì; insignificante al resto del mondo, come ogni altro animale sul pianeta e come tutti gli altri rappresentanti del genere homo.
Questo è il quadro da cui inizia la storia (ri)scritta da Harari. Il quale spiega l’eccezionale percorso dell’umanità attraverso l’approfondimento di tre momenti-chiave:
- la rivoluzione cognitiva, avvenuta circa 70 mila anni fa;
- la rivoluzione agricola, avvenuta circa 12 mila anni fa;
- la rivoluzione scientifica, avvenuta circa 500 anni fa.
La rivoluzione cognitiva (70000 anni fa)
L’homo sapiens, definito da Harari “ormai simile fisicamente a noi” inizia uno spostamento che lo condurrà nel giro di poche migliaia di anni a colonizzare tutto il mondo.
Le ricerche non hanno una risposta precisa, ma sono state indicate alcune ragioni per certificare la differenza tra questo tipo di essere vivente e tutti gli altri.
Prima di tutto, si è detto, l’homo sapiens ha il cervello più grande. Questo è vero ma non risolve del tutto; primo perché anche gli altri ominidi erano simili, e poi perché comunque per circa 150 mila anni il Sapiens ha continuato a vivere – indipendentemente dalle dimensioni del cervello – come gli altri ominidi della terra, arrivando ad inventare il chopper e a controllare il fuoco.
Un secondo motivo evolutivo è stato visto nella posizione bipede, in grado di “liberare” gli arti superiori. Ma il discorso è sempre lo stesso; non è l’unico, e per molto tempo questo elemento non ha cambiato la sostanza delle cose.
Un terzo motivo è dato dalla spinta alla socialità dettata dalle esigenze pratiche di sopravvivenza. Il parto nelle madri degli umani è “anticipato” rispetto agli altri mammiferi (già parzialmente autonomi al momento della nascita) per cui i neonati degli umani devono essere accuditi per molto tempo per sopravvivere, e necessitano di una protezione di gruppo. Queste necessità sociali hanno mutato anche geneticamente l’uomo, trasformandolo un animale “sociale”, con un fortissimo sentimento di appartenenza al gruppo (indispensabile per la sopravvivenza), con una precoce capacità di prendere coscienza di sé (già a 18 mesi) e con “l’istinto” di proteggere i deboli del gruppo. In particolare le figure delle donne e degli anziani risultano particolarmente importanti nella logica del gruppo esteso tipico della specie Homo.
In ogni caso fino a settantamila anni fa l’homo sapiens rimase un animale come gli altri.
Poi, quasi all’improvviso, dall’Africa orientale passa nella penisola arabica; da lì una parte si dirige in Asia (60 mila); un’altra parte va in Europa (45 mila). Dopo un po’ di tempo il Sapiens giunge ai confini del continente asiatico, si spinge nelle isole fino ad arrivare in Australia (40 mila). E sfruttando l’ultima era glaciale trova un passaggio nell’estremo nord e giunge – sulle orme dei mammut – fin in America, dando vita alla colonizzazione dell’intero continente tra 14 e 11 mila anni fa.
Nuove teorie
Recentissimi ritrovamenti hanno cambiato questa narrazione.
Misliya- I, il semimascellare sinistro di un Sapiens risalente a 170/190 mila anni fa, è stato ritrovato nel 2018 sul monte Carmelo in Israele. Una nuova analisi di resti attribuiti negli anni ’60 a Neanderthal riesumati a Jebel Irhoud in Marocco ha potuto datare la presenza di “sapiens arcaici” in nord Africa addirittura 315000 anni fa! Resti di Sapiens erano sparsi in Africa in epoche molto più remote di come si è creduto per decenni. Secondo Silvana Condemi e Francois Savatier, autori del testo “Noi siamo sapiens” del 2019, questo significa che “dopo aver esaminato approfonditamente i dati climatologici, geologici e culturali (…) e la variabilità genetica degli africani attuali, i ricercatori hanno concluso che l’evoluzione umana in Africa è stata multiregionale (…) la nostra ascendenza multietnica”. I ritrovamenti della seconda metà degli anni 2010 fanno pensare a una più complessa fase evolutiva di quella ipotizzata dallo stesso Harari. Il sapiens sarebbe “migrato” molto prima, si sarebbe mescolato con altri ominidi, principalmente Neanderthal e Denisova, e avrebbe poi dominato il mondo.
Inoltre anche la diffusione nel mondo dell’homo sapiens deve essere riscritta. Nel 2017 sono stati ritrovati fossili sapiens in Australia risalenti a circa 65 mila anni fa – 20000 anni prima del dato acquisito – e resti di sapiens in Cina di circa 100 mila anni fa. Sulla base di questi e altri ritrovamenti, è plausibile pensare che la fuoriuscita del Sapiens dall’Africa sia di molto anteriore alla teoria classica (130 mila anni fa, anziché 60 mila). E, sulla base della dilatazione di questi tempi, è possibile rivedere la forma di relazione tra i Sapiens e le altre specie di umani: dalla comparazione dei resti possiamo desumere che lo sviluppo cognitivo fosse pressoché equivalente al momento dei primi incontri, e che certamente c’è stata una certa ibridazione tra le specie. I dati genetici rilevano che la percentuale di Neanderthal e di Denisova presenti ancora oggi in una certa parte di popolazione mondiale è compatibile con l’idea di una ibridazione a dominazione Sapiens, seguita da oltre 2500 generazioni esclusivamente Sapiens. La teoria proposta allora sarebbe questa:
l’antenato comune è uscito dall’Africa arrivando in Europa e Asia e dando vita – in centinaia di migliaia di anni – a specie diverse ma simili per abilità e aspetto al Sapiens. Il quale si è evoluto in più zone dell’Africa (non esclusivamente nella Rift Valley) e, approfittando dell’abbassamento del mare dato da un clima globale freddo sarebbero passati in Medio Oriente e poi da lì in tutta la fascia sud o sudtropicale del continente euroasiatico, fino addirittura alla Cina (100 mila anni fa) e all’Australia (60 mila anni fa). Solo più tardi è iniziato lo spostamento verso ambienti poco adatti al Sapiens. Qui trovando altre specie ha iniziato a ibridarsi, acquisendo i tratti genetici utili all’adattamento ai climi più freddi. Le tracce genetiche coincidenti con quelli dei Neanderthal e dei Denisova sono per l’appunto inerenti queste proprietà di resistenza alle basse temperature. Il flusso di sapiens in crescita demografica ha via via ridotto gli spazi per le altre specie; sia dal punto di vista dello sfruttamento dell’ambiente sia dal punto di vista della supremazia genetica. Considerando che dalla scomparsa dei Neanderthal “puri” sono passate oltre 2500 generazioni, le percentuali oscillanti tra l’1 e il 4% presenti ancora oggi in alcuni gruppi etnici, non sono affatto trascurabili.
Per Harari il Sapiens è alternativo alle altre specie; secondo Condemi/Savatier è parzialmente complementare, o per meglio dire ibrido.
In ogni caso è intorno ai 60 mila anni fa che la presenza del Sapiens (più o meno ibridato) inizia a fare leva su una nuova stupefacente abilità, conosciuta come “rivoluzione cognitiva”. La cui origine è misteriosa per Harari perché attribuita solo ai Sapiens.
Secondo i ricercatori invece non si tratterebbe di un salto, bensì si spiegherebbe con la transizione lungo più di centomila anni di coevoluzione genetica e culturale da parte di vari gruppi di ominidi, tutti prima o poi “inglobati” dalla forte spinta demografica dei Sapiens. Circa 60mila anni fa, l’epoca della cosiddetta “rivoluzione cognitiva”, l’ibridazione dei Sapiens con le altre specie di Homo era compiuta. Le successive 2500 generazioni avrebbero eroso il patrimonio genetico riconducibile agli altri ominidi considerati estinti.
Comunque sia intorno ai 60 mila anni fa il Sapiens (o sapiens-ibrido) è protagonista di incredibili progressi: inventa torce, imbarcazioni, archi, frecce e utensili di ogni genere; riesce a produrre dei vestiti per proteggersi dal freddo e oggetti dal valore simbolico come delle statuine o dei graffiti.
Cosa significa tutto questo? Qual è il segreto dei Sapiens? E quali conseguenze possiamo attribuire a questa “rivoluzione”?
Il segreto è semplice ma ha conseguenze impressionanti.
L’homo sapiens, ad un certo punto ha sviluppato la capacità di immaginare cose che non esistono. E di farlo collettivamente.
“Per quanto ne sappiamo, solo i Sapiens sono in grado di parlare di intere categorie di cose che non hanno mai visto, toccato o odorato. Leggende, miti, dèi e religioni comparvero per la prima volta con la rivoluzione cognitiva. In precedenza molti animali e specie di umani erano in grado di dire “attenzione, un leone!”. Grazie alla rivoluzione cognitiva l’Homo sapiens acquisì la capacità di dire: “Il leone è lo spirito guardiano della nostra tribù”. Tale capacità di parlare di fantasie inventate è il tratto più esclusivo del linguaggio dei sapiens”
(Harari, Da animali a dèi, p. 36, 2014)
E qui sta la formidabile semplicità con cui si spiega “quasi tutto” dell’evoluzione umana: non solo il Sapiens può inventare e credere a cose che non esistono, ma può farlo collettivamente. Esistono altri esseri viventi in grado di cooperare a grandi numeri, ma possono farlo secondo schemi determinati dalle informazioni genetiche (gli insetti) oppure in gruppi molto piccoli (lupi e scimpanzé, ad esempio). L’essere umano lo può fare sulla base di storie e credenze inventate; questo consente la cooperazione tra individui che non si conoscono e quindi di conseguenza la possibilità di incrementare all’inverosimile il potere di controllo sull’ambiente.
Il risultato è stupefacente, e l’essere umano si specializza in questa abilità; impara a farlo sempre meglio, lo trasmette agli altri e alle generazioni successive e lo farà in modo sempre più raffinato, impersonale e indiretto.
Da questa abilità deriva la supremazia sugli altri esseri viventi. L’uomo è debole rispetto ai grandi animali del pianeta: ma se si unisce può escogitare strategie per uccidere mammut e canguri giganti; può produrre e utilizzare strumenti utili per cacciare, pescare, difendersi ecc. L’unione fa la forza; e il modo per realizzare forme di cooperazione sempre più estese passa dalla capacità di inventare storie sempre più credibili, invasive, significanti. Spiriti, tribù, dèi, tradizioni, miti… nei millenni più recenti addirittura forme impersonali talmente sofisticate da nascondere la natura fittizia della loro stessa esistenza: il denaro, i contratti commerciali, le leggi, i diritti, le nazioni. Solo attraverso la cultura è possibile unire in numeri fuori dall’ordine naturale delle cose (poche centinaia di unità); e questa è la grande differenza tra l’uomo e il resto dei viventi. In un tempo relativamente breve il Sapiens fa saltare la regola universale dell’evoluzione e passa da essere parte della catena alimentare a diventarne il vertice: non è più preda di nessuna bestia (incidenti a parte), e tutti gli animali sono potenzialmente sue prede.
Ma non solo.
I limiti stessi dell’evoluzione sono superati. Per arrivare in Australia non ha più bisogno di aspettare milioni di anni per sviluppare la capacità di muoversi nell’oceano, semplicemente può costruire delle imbarcazioni e percorre migliaia di chilometri. Allo stesso modo non esiste ambiente così lontano e così inospitale da non poter essere esplorato: vestiti, utensili, nuove abilità… aprono a questa specie umana possibilità praticamente illimitate.
La dimensione dell’incidenza dei nostri antichi progenitori sul pianeta è scoperta piuttosto recente. È stata rilevata una coincidenza tra il suo arrivo in un certo territorio e la scomparsa sia delle altre specie di umani e sia della cosiddetta “megafauna”. Se resta un’ombra sulla scomparsa dei vari Neanderthal, Denisova, Floresienis non ci sono dubbi sulla responsabilità umana rispetto all’estinzione di tutti i grandi mammiferi – lenti negli spostamenti e nei tempi di riproduzione – per mano dei Sapiens. Per i cacciatori-raccoglitori l’opportunità di approvvigionarsi di enormi quantità di cibo uccidendo i grandi animali determinò l’eliminazione definitiva di tantissime specie animali. In Australia ben 23 su 24 dei grandi animali da più di 50Kg scomparvero nel giro di qualche millennio dall’arrivo del Sapiens. I mammut, che erano prosperati per milioni di anni nell’emisfero settentrionale, diminuirono progressivamente di numero fino a scomparire circa diecimila anni fa.
In estrema sintesi – e in netta contraddizione con l’immagina romantica dell’uomo primitivo in sintonia con la natura – il cinquanta per cento dei grandi mammiferi presenti sulla terra al momento della comparsa dell’uomo si erano già estinti prima della rivoluzione agricola, ovvero per mano dai cacciatori – raccoglitori.
Per quel che riguarda la scomparsa dei nostri “cugini” – Neanderthal, Erectus, Denisova ed altri – si sono occupati molti studiosi, arrivando ad una conclusione ambivalente. Da una parte c’era chi sosteneva la teoria del mescolamento, dall’altra chi la teoria del rimpiazzamento. In ogni caso nel 2010 fu fatto il test DNA su residui di fossili di Neanderthal per confrontarlo con quello dei Sapiens. Il risultato è stato sorprendente.
Scrive Harari “una porzione tra l’1 e il 4 per cento del DNA di un umano delle moderne popolazioni dell’Europa e del Medio Oriente è DNA neandertaliano”. Cosa vuol dire?
Probabilmente che la fusione fu assai ridotta, anche se la riproduzione era possibile e in qualche misura avvenne. Al netto di questa casistica marginale, la coincidenza tra arrivo dell’Homo Sapiens e scomparsa della specie umana autoctona è sospetta. D’altra parte se in tempi moderni “una piccola differenza riguardante il colore della pelle, il dialetto, la religione, è sufficiente a che un gruppo di Sapiens abbia deciso di sterminare un altro gruppo” perché dobbiamo pensare che gli antichi Sapiens, di fronte a un essere di un’altra specie, avessero maggiore tolleranza? La lotta per le risorse poteva essere una ragione sufficiente per spiegare la fine delle specie di uomo “non Sapiens”?
Non tutti sono concordi. Secondo Condemi/Savatier le estinzioni degli altri esseri umani “sono avvenute soprattutto perché gli habitat delle grandi specie si sono rimpiccioliti o sono scomparsi (perché) Sapiens tende a crescere demograficamente” mentre gli altri vivevano in uno stato di equilibrio con la natura.
In ogni caso il punto più rilevante non è intaccato da queste nuove scoperte.
La suggestione principale di Harari è relativa al meccanismo che ha dato le chiavi del dominio in mano al Sapiens, ovvero la capacità di “inventare” miti. In questo modo si sono create le condizioni per la cooperazione tra un numero incredibile di individui, prima centinaia, poi migliaia, poi milioni. Questo principio è alla base di tutta l’evoluzione umana. In tempi moderni la capacità di inventare cose che non esistono e di crederci collettivamente è diventata talmente sofisticata che noi “colti” esseri umani moderni non ne abbiamo la percezione, tanto ci sono immersi dentro. Il denaro, le leggi, il principio di proprietà, i contratti commerciali, le nazioni, le religioni, il socialismo, i diritti umani… sono tutte “finzioni” inventate dagli uomini straordinariamente efficaci nel far cooperare individui sconosciuti in numeri impressionanti.
Da questo si può ricavare una specie di “formula” che spiega la forza e il potere della specie umana:
Più la finzione è credibile e condivisa, più il (gruppo umano) Sapiens è potente.
Questa regola vale sempre, in qualunque misura, in ogni epoca e in ogni luogo.
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