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Nazione e nazionalismi

La Palestina e lo stato di Israele

Perché la guerra?

Il conflitto arabo-israeliano, che da cinquanta anni ha trasformato la terra di Palestina in un campo di battaglia permanente, è un prodotto tragico del nazionalismo, inserito in un contesto di forte conflittualità religiosa.
Israele, stato indipendente dichiarato il 14 maggio 1948, si costituisce al termine di una contraddittoria politica di decolonizzazione attuata con gravissime responsabilità da Francia e Gran Bretagna.

La Palestina non è mai stata una nazione indipendente. Fino al 1914 era parte dell’impero Ottomano; una regione scarsamente popolata, arretrata e con un sistema semifeudale. Gli abitanti erano in grandissima maggioranza poveri braccianti al servizio di proprietari terrieri. Nel 1880 la zona contava circa 24 mila ebrei e 150 mila arabi. Nel 1945 gli arabi erano saliti a 1 milione e 240 mila, mentre gli ebrei erano 553 mila. Solo Gerusalemme era un centro urbano di una qualche importanza.

Cosa accadde nel frattempo? La prima guerra mondiale segnò la fine dell’impero Ottomano; l’area mediorientale passò sotto il controllo (protettorato) franco-inglese. Le diplomazie dei due stati avviarono un triplice gioco:

A) fu promessa l’indipendenza ai grandi proprietari arabi in cambio del loro appoggio in guerra (1915)

B) Balfour (responsabile Affari Esteri britannico) rispose alla pressione del movimento sionista dichiarando di vedere con favore la creazione di uno stato ebraico indipendente in Palestina (1917).

C) l’accordo Sykes-Picot, siglato nel maggio 1916, e tenuto a lungo segreto, fissò la spartizione dell’intero Medio Oriente in aree di influenza.

La creazione dello stato di Israele

I Trattati di Versailles assegnarono la Palestina al protettorato britannico.

Sia ebrei che arabi si aspettavano una qualche forma di indipendenza; la Gran Bretagna non va oltre a qualche proposta di spartizione territoriale; la conflittualità tra le popolazioni – sempre più numerose – cresce continuamente. Il vento di guerra, e i rischi di una penetrazione tedesca nell’area, indussero il ministro Eden a favorire una strategia di accordo tra i paesi arabi e a proporre (1939) la costituzione di uno stato indipendente, basato sulla coesistenza etnica. Per limitare la supremazia ebraica e per non rompere l’alleanza con i paesi islamici, fu fortemente limitata l’immigrazione ebraica – fissata a quota 75.000.

Con l’inizio in grande scala della persecuzione nazista, è facile immaginare quale ripercussione drammatica abbia comportato questa scelta.

Non mancarono scontri tra terrorismo ebraico e autorità britanniche, considerate ostili al sionismo. Terminata la guerra, forse anche in seguito all’ondata emotiva dell’olocausto, l’immigrazione verso la Palestina non fu più ostacolata dal controllo britannico. Nell’immediato dopoguerra la zona era teatro di scontri tra ebrei e britannici, e tra ebrei e arabi. Nel maggio 1947 La Gran Bretagna annunciò all’ONU che si sarebbe ritirata dalla regione. Nel novembre dello stesso anno dalla stessa assemblea delle Nazioni Unite venne la proposta di dividere la regione in due parti: agli ebrei sarebbe andata la zona del Negev (permetteva una notevole espansione e capacità di accoglienza di nuovi immigrati). Usa, Urss e Francia si dichiararono a favore; la Gran Bretagna si astenne; stati arabi, India, Grecia e Pakistan votarono contro.

Quando le truppe inglesi lasciarono il Medio Oriente, nel maggio 1948, fu immediatamente proclamato lo stato di Israele.

Gli stati arabi considerarono la creazione dello stato ebraico – fondato su basi religiose e razziali – un atto di forza intollerabile: un esercito di palestinesi e truppe dei paesi arabi circostanti attaccò il nuovo stato iniziando la lunga stagione delle sconfitte militari. Aggressioni dei paesi arabi e controffensive violentissime portarono i soldati di Israele ad occupare vaste zone interamente abitate dai palestinesi. I conflitti del 1956, 1967 e 1973 aprirono le porte alla tragedia dei “territori occupati”: le alture del Golan, la striscia di Gaza e la Cisgiordania diventarono campi di guerriglia permanente; con una popolazione a grandissima maggioranza palestinese (1,5 milioni gli arabi acquistati nei confini israeliani) discriminati e disprezzati da autorità e coloni. Soltanto nella controffensiva del 1949 e in seguito ai disordini dovuti alla proclamazione del nuovo stato ci furono quasi 1 milione di palestinesi espulsi dalla propria terra, accolti in miserabili campi profughi messi a disposizione dai paesi arabi e dall’UNRRA. 

Le guerre e l’intifada

Dal 1949 il conflitto ha assunto connotati sempre più drammatici.

Nel 1956 i palestinesi costituiscono un movimento di liberazione (Al-Fatah) capace di collaborare con le forze armate degli stati arabi e di muovere azioni di guerriglia nel territorio israeliano. Nel 1967 – con fronti caldi come Siria e Egitto – scoppiò una crisi internazionale intorno al controllo del golfo di Aqaba (Sharm el Sheikh), innescato principalmente da Nasser , presidente dell’Egitto. Forte dell’appoggio sovietico – se Usa e Francia erano filo-israeliani, ovviamente i sovietici erano filo-arabi –  Nasser annunciò il blocco delle navi che attraversavano il golfo di Aqaba per rifornire Israele. Lo stato ebraico rispose con la forza: il 5 giugno 1967 l’aviazione bombardò gli aeroporti dei paesi arabi; le truppe di terra occuparono Gaza, Sherm el Sheikh, la Cisgiordania e Gerusalemme, le alture del Golan, l’Alta Galilea e il Sinai. 

L’attacco passò alla storia come la guerra dei 6 giorni: il 10 giugno le offensive erano già terminate.

Ma le ferite aperte risultarono gravissime: lo scontro all’interno del territorio palestinese si trasformò in guerriglia permanente, con una militarizzazione molto estesa del movimento di liberazione arabo e un ricorso alla rappresaglia indiscriminata e violentissima.

Nel 1969 nasce l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) sotto la guida di Yasser Arafat. Intanto anche il Libano, con il bombardamento di Beirut nel 1968 ad opera dell’aviazione israeliana, entrava nella spirale di guerra del Medio Oriente. La Francia di De Gaulle divenne sostenitrice della pacificazione nell’area, appoggiando di fatto l’azione diplomatica dei paesi arabi.

1972

E’ l’anno del massacro di Monaco. Il 5 settembre un commando di guerriglieri palestinesi fece irruzione negli alloggi israeliani del villaggio olimpico, prendendo in ostaggio nove atleti e uccidendone due. Quando le trattative fallirono le truppe speciali assaltarono il commando: nel conflitto rimasero uccisi cinque feddayyin, un poliziotto e tutti gli ostaggi. 

1973

Anwar Sadat, successore di Nasser alla presidenza dell’Egitto, tentò nuovamente nell’autunno del 1973 di cambiare i rapporti di forza nell’area. Il 6 ottobre, sfruttando l’effetto sorpresa offerto dalla festività dello Yom Kippur, Egitto e Siria attaccarono. Dopo primi parziali successi, l’armata araba fu costretta alla ritirata, al punto da veder quasi minacciato Il Cairo. Il 22 ottobre la controffensiva ebbe termine.

Sadat si convinse dell’irrimediabilità della presenza di Israele e avviò una serie di contatti che portarono a una normalizzazione completa dei rapporti tra i due paesi e una fuoriuscita dell’Egitto dalla spirale di violenza del conflitto arabo-israeliano (trattato di pace di Washington, 1979). Sadat, tacciato di tradimento della causa araba, fu assassinato nell’autunno 1981.

Teatro principale degli scontri divenne il Libano, dove si erano rifugiati circa 200.000 palestinesi, armati e decisi a sostenere in grande scala azioni terroristiche e militari contro Israele. Il paese era caduto in una tragica guerra civile su cui Siria e Israele stavano pesantemente contribuendo. All’inizio del 1980 Israele invase il Libano meridionale coinvolgendo nella controffensiva anche i territori palestinesi e proclamò Gerusalemme capitale dello stato. I fatti sono terribilmente complicati per gli intrecci tra scontri locali e religiosi con le questioni di politica internazionale e di supremazia nell’area. Il massacro di Sabra e Shatila (settembre 1982) – un campo di profughi palestinesi alla periferia di Beirut – ad esempio è stato compiuto da truppe dell’esercito cristiano-libanese ma con la complicità dell’esercito israeliano, guidato tra gli altri da Sharon, che aveva il controllo dei campi.

Il resto è storia recente, con l’Intifada, la progressiva istituzionalizzazione dell’OLP e i decisivi accordi, con la mediazione USA, della prima metà degli anni ’90 (1994, autonomia a Gaza e Gerico). L’assassinio di Rabin e i continui problemi di coesistenza sono sfociati nei primi mesi del 2000 nella ripresa gravissima dello scontro militare, cercato e alimentato dal governo Sharon.

Si tratta della Seconda Intifada, a cui sono seguiti attentati e conferenze di pace, parziale applicazione dell’autonomia amministrativa nei territori palestinesi e continui attacchi terroristici e controffensive militari. L’agenzia Afp aggiorna i dati delle vittime della Seconda Intifada – iniziata il 28 settembre 2000 – settimanalmente. Al 16 dicembre 2008 i numeri ci dicono:

Palestinesi 5302

Isrealiani 1082

Altre vittime 79    

TOT  6463

Nel dicembre 2008, a seguito di una serie di lanci missilistici effettuati dalla striscia di Gaza e che hanno provocato in otto anni circa 15 morti e alcune centinaia di feriti, Israele lancia una durissima offensiva militare denominata “piombo fuso” . L’attacco provoca 1203 vittime tra i palestinesi – tra cui 450 bambini – e oltre 5000 feriti; mentre i morti dell’esercito di Tel Aviv sono stati 10 e 3 i civili. L’Onu ha condannato l’aggressione con la risoluzione 1860 del 8 gennaio 2009.

Ariel Sharon è in stato vegetativo permanente dall’aprile 2006. Il suo successore e attualmente premier in carica è  Benjamin Netanyahu. Entrambi appartengono al Likud, partito di destra, fautore di una politica di occupazione armata e una sottomissione dell’autorità politica palestinese.

Yasser Arafat fondatore e guida dell’Olp è morto nel 2004. Suo succesore è Abu Mazen leader del partito Al Fatha (i moderati palestinesi). L’altro partito importante e vincitore delle ultime elezioni è invece Hamas, molto attivo nella vita sociale e sostenitore di una linea di scontro aperto con Israele.

Nota – La presenza ai vertici istituzionali di Israele e dei territori palestinesi dei due partiti fautori dello scontro rende impossibile la risoluzione del conflitto. In caso di un nuovo e definitivo accordo, infatti, sia il Likud che Hamas perderebbo gran parte del consenso elettorale. E’ loro interesse pertanto mantenere la situazione incandescente e alimentare lo scontro ogniqualvolta le pressioni internazionali sembrano aprire scenari diversi. Penso sia questa terribile trappola a inchiodare le popolazioni israeliane e palestinesi a un destino terribile e apparentemente immodificabile. La storia ci dice però che la questione è politica e non religiosa; che quindi sono le scelte a determinare i fatti e non viceversa, come troppo spesso politici e media vogliono far credere.

Interessante video – di propaganda a favore della soluzione due popoli due stati – realizzato da una ONG internazionale AVAAZ.org