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Imperialismo e colonialismo

Decolonizzazione

Il mondo disegnato dall’età dell’imperialismo presentava evidenti squilibri. Prima ancora che di natura economica o geopolitica di semplice contabilità:

1 cittadino britannico comandava su 100 indiani

1 cittadino italiano comandava su 29 etiopici

1 cittadino belga comandava su 170 congolesi

Solo per fare qualche esempio.

Ma questo è solo un aspetto esteriore della situazione. L’aspetto veramente decisivo, su cui ruota qualunque analisi seria del fenomeno, è la sconvolgente trasformazione a cui sono stati sottoposti i popoli soggetti a dominio. In altre parole il fenomeno del colonialismo ha segnato l’apogeo della “cultura unica”, della presunzione di imporre una propria visione del mondo agli altri. Il paradosso a cui si è andati incontro – una tendenza che in tempi di decolonizzazione si è anche accentuata – è che il mondo extraeuropeo si è adattato all’idea di civiltà sottosviluppata che l’europeo gli attribuiva. L’ignoranza e l’incapacità di concepire il mondo al di fuori di alcuni particolari valori hanno reso possibile un’incredibile sistema di relazioni (economiche, culturali) tra i paesi tale da giungere, con una progressione spaventosa, ai dati di povertà attuali. Che sono i più alti nella storia, a fronte di una ricchezza complessiva decine se non centinaia di volte superiore a quella di 30 o 50 anni fa.

Cronologia della decolonizzazione

La decolonizzazione è il fenomeno che porta alla nascita di stati indipendenti dove prima c’erano possedimenti coloniali.

NOTA BENE: prima della colonizzazione NON C’ERANO stati sovrani. I casi di entità statali precedenti al dominio straniero sono eccezioni. I territori e le popolazioni erano organizzati secondo altri schemi socio-politici: c’erano autorità religiose (i califfati nell’area medio-orientale) oppure autorità locali oppure regni basati sulla semplice fedeltà, senza confini e struttura statale. Un mondo estremamente vario e multiforme quasi indefinito: un insieme posti ognuno dei quali potrebbe dirsi come il “luogo delle differenze”.

Il 1946 festeggia il primo paese libero dal dominio: sono le Filippine. Il 1947 è l’anno dell’India. Il nuovo governo laburista di Clemente Attlee concede l’agognata indipendenza – è il trionfo della strategia della nonviolenza e della resistenza passiva di Ghandi – ma la rivalità interreligiosa tra mussulmani e indù, incentivata dagli stessi inglesi nel tentativo di spaccare il fronte anticolonialista, porta alla secessione del nord-est: nasce il Pakistan.

1949 tocca all’Indonesia;

1951 Libia (era sottoposta all’amministrazione britannica);

1957-62 viene disegnata la mappa geopolitica dell’Africa. Nascono Senegal, Costa d’Avorio, Repubblica del Congo, Repubblica Centroafricana, Camerun, Ciad, Gabon…

1962 L’Algeria, dopo una durissima guerra civile, proclama l’indipendenza.

1970 si completa la liberazione coloniale nel continente nero: Angola, Monzambico, Guinea-Bissau, Isole di Capoverde. Anche il Portogallo entra nel club dei paesi ex-colonialisti.

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Domanda cruciale: diventano veramente indipendenti?

Economicamente NO

Culturalmente NO

Politicamente SI

LOTTA DI LIBERAZIONE

La lotta di liberazione ha una lunga storia e una curiosa evoluzione. I primi successi militari dei paesi extraeuropei giungono a cavallo tra Ottocento e Novecento. Nel 1896 Adua è il teatro della disfatta dell’esercito italiano, sopraffatto dalle truppe di Menelik re d’Etiopia[1]. Nel 1905 è il turno della Russia ad essere sconfitta da un esercito non europeo: il Giappone della modernizzazione lampo voluta da Meji.

Il modello più affascinante della storia della decolonizzazione è quello proposto e realizzato Ghandi. Per rivendicare l’indipendenza del continente indiano Ghandi introduce due elementi nuovi:

1. La forma partito.

2. La filosofia della non violenza e della resistenza passiva.

Nel 1920 riorganizza il Partito del Congresso con lo scopo di promuovere un’azione politica coinvolgendo le masse popolari. Accanto alla libertà dal dominio inglese il partito proponeva una piattaforma democratica per il progresso di tutto il popolo.

Rivoluzionario fu la pratica con cui portò avanti l’azione politica: non attentati terroristici e guerriglia, bensì resistenza passiva e propaganda attraverso la filosofia della non violenza. Sul terreno militare i britannici erano imbattibili: per vincere bisognava cambiare il campo di gioco!

DOPOGUERRA

La seconda guerra mondiale cambiò la gerarchia geopolitica. Usa e Urss grandi potenze antagoniste, l’Europa destinata ad un inevitabile ridimensionamento. In questo quadro la smobilitazione delle colonie si rivelò un punto fondamentale per la politica internazionale del dopoguerra. Non solo. Dal punto di vista economico i paesi liberi dal dominio europeo potevano essere preziosi alleati per l’ideologia liberista o per quella comunista. Spesso la decisione delle leadership indipendentiste se appartenere a un campo o all’altro era puramente strumentale; la grande tragedia della decolonizzazione sta quasi tutta in questa ingerenza.

Infatti la lotta di liberazione era condotta contro i paesi occidentali MA con la mentalità, i valori, la logica politica degli occidentali stessi. Le élite che guidavano i movimenti indipendentisti – che fossero o meno socialistizzanti – erano istruiti nei college inglesi o americani o francesi: pensavano alla libertà del popolo ma secondo aspettative tipiche degli europei: uno stato nazionale, una religione unica, una transizione economica che mirasse all’industrializzazione e alla rapida crescita economica.

La libertà politica muterà in breve in dipendenza economica, in sottomissione ideologica e culturale, in spoliazione delle ricchezze naturali e delle ricchezze culturali. Vediamo in che modo si è realizzato questa rapina.

Economia

Premesso che i paesi in area comunista (Vietnam, Corea del Nord, Laos e molti altri) non avevano possibilità di sviluppo per molteplici ragioni, concentriamo la nostra attenzione sui modelli adottati e imposti per la parte “libera” delle aree ex-colonie.

I paesi affrancati dal dominio coloniale furono invitati a seguire il modello Rostow, cioè creare le condizioni perché si ripetesse il miracolo dell’Inghilterra a fine ‘700 e giungere così ad una società industrializzata (punto 1) regolata dal libero mercato (punto 2) guidata da una borghesia dinamica e influente (punto 3). 

La cosa non funzionò.

I motivi sono in parte intuitivi – troppe le differenze! – in parte che richiedono un po’ di approfondimento.

Frank Fanon nel suo “I dannati della terra” del 1959 ci parla di un mondo abituato da decenni o secoli alla dominazione: uomini e donne assuefati nel modo di pensare alla sudditanza. Anche fisicamente il mondo coloniale è particolare: da una parte i quartieri ricchi e lussuosi (una ricchezza spesso maggiore e sicuramente più sfacciata di quella della madrepatria) dall’altra città malfamate, sovraffollate, strade sporche, con grande povertà. “I rapporti tra coloni e colonizzati sono rapporti di massa”.

Dal punto di vista storico dobbiamo evidenziare l’importanza del processo 1945-1970 (o anche e meglio 1896-2008) sul momento (anno di indipendenza).

Le differenze di ricchezza nord-sud sono mutate profondamente nel corso del processo di colonizzazione e decolonizzazione:

P. Bairoch ha tracciato un percorso su base 1 per dare l’idea del progresso nelle diverse aree del pianeta:

 EUROPARESTO DEL MONDO (Cina e India)
185011
1900352
19501355
19904129

È lo sviluppo del sottosviluppo, non crescita autonoma. È anche la ragione dei flussi migratori verso le zone di sviluppo. N.B. I processi di globalizzazione (vedi sezione) allargano drammaticamente la forbice.

da completare…

Visto dall’altra parte

Consapevoli dell’impossibilità di fornire una visione realistica del pensiero e dell’esperienza dal punto di vista dei colonizzati, questa sezione  è un piccolo contributo contro quella deprecabile pratica di trattare qualunque problema assumendo tutte le parti: degli sfruttati, degli sfruttatori, dei generosi e dei cinici.  Così avviene sui giornali, sulle Tv, nelle Ong, nei siti internet, nelle manifestazioni antirazziste….spesso la voce dei veri protagonisti resta sullo sfondo, ai margini: sono gli europei o i loro discendenti, che massicciamente inondano i mezzi di informazione con una storia del dominio coloniale basata su luoghi comuni e amnesie, nonché con spiegazioni socio-economiche del sottosviluppo al limite dell’incomprensibilità. Ecco perché si conclude con un intervento di  Doudou Diene e una storia recentissima, ma identica a mille altre dell’Africa, di guerra e di ipocrisia.

Le quattro “emme” del colonialismo

Gli africani parlano della colonizzazione citando le “quattro emme” :

La prima M è riservata ai monaci. Sono stati loro, in qualità di missionari, i primi ad arrivare.

Dopo sono arrivati i militari. Le nuove leggi, del commercio, del lavoro e delle tasse, dovevano pur essere imposte con la forza. Nell’Ottocento la chiamavano civilizzazione; nel dopoguerra Sviluppo. Oggi modernizzazione oppure libertà (!), almeno secondo George W. Bush.

Con l’ordine ristabilito, poterono arrivare i mercanti. Il libero commercio imposto a tutto il mondo, questa è la sostanza della globalizzazione.

L’ultima emme è riservata ai memorialisti. Una volta destrutturata la società indigena, intellettuali, professori, economisti, politici, storici si sono gettati in un’opera pazzesca e devastante: riscrivere la memoria storica, la cultura e l’identità dei popoli dominati. Naturalmente per fare questo andava distrutta l’identità esistente. 

(Intervento di Doudou Diene, funzionario Onu, a San Rossore nel luglio 2008)


Le guerre d’Africa

(A proposito della guerra della Repubblica Democratica del Congo – l’ennesima guerra d’Africa – e dei suoi governi corrotti)

“… Al di sopra di tutti questi falchi ci sono le multinazionali, principalmente anglosassoni, che nell’ombra tirano le fila del gioco. Sono loro i veri mandanti di tutte queste guerre grazie alla loro influenza economica sulla politica estera dei loro governi. La prova evidente è rappresentata dalla crisi finanziaria internazionale che ha scosso seriamente il mondo occidentale disarticolando il sistema bancario. Consapevoli della fragilità dei loro regimi, i governi occidentali si sono uniti per sostenere le banche – una cosa mai vista in un regime capitalistico  – invece di sanzionarle per il loro fallimento. La crisi permette di capire le cause nascoste della guerra in Africa orientale, in particolare nel Kivu, così come è successo in Afghanistan con il gas del mar Caspio e in Iraq con il petrolio. La Rdc possiede petrolio, diamanti, gas, oro, legname, niobio, coltan e altri prodotti preziosi. Le multinazionali non arretrano di fronte a nulla, e hanno uomini influenti all’interno dei governi occidentali e delle istituzioni internazionali per servire le loro cause e i loro interessi, per orientare le grandi decisioni nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. La debolezza delle missioni di pace dell’Onu in Angola, in Ruanda, in Bosnia Erzegovina, in Somalia e adesso nella Repubblica Democratica del Congo non è casuale. Si tratta di fallimenti voluti e programmati, che favoriscono queste politiche di controllo dei governi e delle loro ricchezze e la creazione di stati deboli e incapaci di imporsi.

L’unico modo per riportare la pace, la sicurezza e lo sviluppo nella regione dei grandi laghi è impegnarsi a combattere i veri beneficiari di questa guerra.

Le Pontentiel, Repubblica democratica del Congo (da Internazionale del 7/11/2008).

[1] L’Etiopia è sede dell’Unione Africana in virtù del valore simbolico della vittoria di Adua; segna in un certo senso la possibilità di riscatto del continente africano.