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Nazione e nazionalismi

Nazionalismo rivoluzionario

Nazionalismo rivoluzionario 1760-1800

L’idea che l’entità statale dovesse riconoscersi nell’intero popolo lo si deve al binomio rivoluzionario che nella seconda parte del ‘700 spalancò le porte dell’America e dell’Europa (tramite la Francia) al progresso. Il nazionalismo “rivoluzionario” non era concepito come unione etnica o culturale. Piuttosto si voleva unire la popolazione legata (sottomessa) a un certo tipo di potere o di dominio con lo scopo di liberare il paese. Per questo, il primo nazionalismo ha qualcosa in comune con la democrazia e nulla in comune con la pulizia etnica. (Non va dimenticato comunque che i cambiamenti non coinvolsero proprio tutti: le donne e le minoranze etniche – negli Usa – rimasero comunque svantaggiati e, nel caso della Francia il nazionalismo travalicò presto in desiderio di conquistare territori limitrofi.)
In questa fase l’idea della nazione si legittima sulla volontà di essere uniti (AUTODETERMINAZIONE) e sulla liberazione da una dominazione (DEMOCRAZIA).

Nell’età liberale 1800-1870

La vera esplosione di sentimento nazionalistico-patriottico lo abbiamo con il movimento romantico, nella prima parte del XIX secolo. Ci sono due processi convergenti:

  1. conviene allo sviluppo capitalista. La crescita economica è favorita da unità statali piuttosto grandi con monopolio monetario, politiche fiscali e dogane comuni.
  2. la cultura romantica del patriottismo alimenta movimenti nazionalisti fornendo miti e tradizioni funzionali a una nuova identità comune. In Italia per esempio il Risorgimento è sostenuto nelle riviste, nei teatri, nelle poesie, richiamando il passato glorioso, le gesta di antichi eroi…con un incitamento continuo alla “missione storica” e al sacrificio.

In questa fase l’idea della nazione si legittima su elementi oggettivi come la STORIA COMUNE, la LINGUA (letteraria). Non sono spariti i concetti di autodeterminazioone e democrazia.
Italia e Germania si formano in questo periodo in virtù soprattutto del vantaggio per la borghesia dei due paesi di avere stati sovrani. Le idee, che non mancarono, furono abilmente (soprattutto nel caso italiano da Camillo Benso di Cavour) guadagnate alla causa.<?xml:namespace prefix = o ns = “urn:schemas-microsoft-com:office:office” />

Pensando ai movimenti dei baschi, dei catalani o dei croati, che nel contempo iniziarono rivendicazioni di indipendenza Mill disse:

«Nessuno può pensare che non sia più conveniente far parte di una grande nazione, godendo di tutti i diritti, che restarsene chiuso nel proprio orticello, fuori dal grande giro del mondo: è solo ristrettezza mentale»

1870-1914 nell’età degli imperi

Gli anni ’70-’80-’90 sono decenni di grande difficoltà per gli stati europei.
Le cause sono principalmente due:

a) Espansione del movimento operaio

L’urbanizzazione, la violenza dei rapporti di lavoro nelle fabbriche e la rottura delle precedenti solidarietà di paese, produce un rapido sviluppo di movimenti di massa fortemente anticapitalistici.
Di ispirazione in gran parte marxista il movimento operaio getta sul tavolo della modernizzazione una coscienza di classe mai vista prima nella storia dell’uomo e una organizzazione politica sempre più articolata (sindacati, società di mutuo soccorso, partiti).

b) Crisi economica

Lo sviluppo industriale esaurisce la prima fase: per proseguire lo sviluppo tecnologico occorrono grandi ristrutturazioni e lo stato ha bisogno di un consenso sempre più esteso. Se non fa nulla rischia la rivoluzione.

In coincidenza con questo difficile momento, viene ridefinito anche il concetto di nazione. Possiamo individuare tre linee principali:

1) Stato di qualsiasi grandezza

2) Etnia e lingua definiscono lo stato-nazione

3) Svolgere un’azione dall’alto per “nazionalizzare” il popolo.

Primo punto: lo stato può essere anche piccolo. Gli imperi austro-ungarico e ottomano soffrono di gravi fermenti indipendentisti; come se tutto il malumore di secoli di dominazione avesse finalmente trovato una valvola di sfogo (una ragione che legittimi e si auto-legittimi agli occhi delle masse) quasi ogni regione ad omogeneità linguistica / culturale accampò pretese autonomiste. In pochi anni croati, serbi, greci, ungheresi, ma anche irlandesi e norvegesi passarono ad azioni armate per rivendicare potere politico e autonomia da Vienna, Istambul o Londra.

Secondo punto: si affaccia anche il concetto di etnia; che essendo vago, indefinito e “flessibile” si adatta perfettamente alle rivendicazioni (artificiali) dei gruppi nazionalisti.

Ma etnia e lingua furono “manipolati” anche da poteri costituiti e utilizzati, insieme ad altri elementi, proprio per rafforzare e legittimare il nuovo potere, laico e borghese.

Nel ‘900, a differenza dei secoli precedenti, la lingua apparve essenziale nel conferire identità nazionale. Così Ataturk Kemal nel neonata Turchia impose un lingua nuova (il turco) a sostituire dal gergo burocratico l’ottomano e dalla parlata comune i mille dialetti ancora in uso. Ma gli artifici che i nuovi (vecchi) stati balcanici di Serbia, Croazia, Slovenia, Bosnia ecc. hanno imposto ai loro vocabolari negli anni ’90 sta a dimostrare la considerazione ancora molto forte dell’unità linguistica rispetto al concetto nazionale.

Le teorie evoluzionistiche darwiniane furono estese, con dubbia logica, anche alla questione della razza. E’ in questi anni che si diffonde una cultura intollerante, arrogante e sprezzante di ogni diversità etnica, che tanto peso avrà nel primo dopoguerra.

Terzo punto: la nazionalizzazione delle masse.

Lo stato abbandona la posizione super partes tipica del periodo liberale e interviene direttamente nella gestione degli affari interni. Diviene uno “Stato Interventista” che agisce culturalmente per raggiungere le masse e ottenere consenso e fedeltà. Lo fece sia per evoluzione stessa della democratizzazione della struttura statale, sia per rispondere alla propaganda socialista sempre più minacciosa.

Per capire quanto lo stato possa cambiare la concezione della realtà nei propri cittadini è significativo dare uno sguardo diacronico alla Francia tra ‘700 e ‘800. Scrive Weber (sociologo americano): “per vedere i pellerossa basta guardare i contadini di francia. Sono sudici, analfabeti, superstiziosi; vivono in tanti piccoli mondi isolati, passano la loro vita in pochi chilometri quadrati…”

Quando e come è stata creata la Francia? Secondo Weber tra ‘800 e ‘900 con quattro principali fattori di mutamento:

a) comunicazioni

Grazie soprattutto alle ferrovie la gente si muove in massa. Fenomeni di immigrazione interna e mobilità di lavoro contribuirono molto ad avvicinare realtà distanti tra loro.

b) servizio militare

Nel 1870 il servizio militare divenne sistematico e obbligatorio. Insieme ai diritti sopraggiungono anche doveri a cui non ci si sottrae. Però la convivenza forzata ha conferito civiltà e cultura di milioni di giovani.

c) scuola obbligatoria

Il 1870 rese obbligatoria anche la frequenza scolastica. Naturalmente gratuita.

d) stato laico

La scuola non è più portavoce dei valori della Chiesa cattolica bensì dello stato laico e progressista.

A questi processi si affiancò spesso una propaganda nazional-popolare alimentata da tradizioni, costruzioni architettoniche, parate, eroi.