La spiegazione e la motivazione della grande spartizione del mondo ha trovato molte diverse interpretazioni. Su tutto vale la considerazione che ogni stato andrebbe analizzato a parte, poiché l’intreccio tra interesse economico, ambizione politica e clima culturale varia da caso a caso.
Dal punto di vista storiografico il dibattito ha preso il via dal testo del liberale inglese John A. Hobson del 1902 (“Imperialism”), in cui si attribuisce al colonialismo lo status di “effetto perverso” del capitalismo: in mancanza di un mercato interno dinamico, i governi cercarono con la forza nuovi sbocchi per la produzione industriale.
Negli anni si formarono due principali correnti interpretativi:
- Storici “marxisti” – E’ l’economia il fattore preponderante; la spinta e la motivazione per l’avventura coloniale viene principalmente su pressione dei grandi gruppi industriali e finanziari. La politica non riesce a gestire la logica militarista che porta alle estreme conseguenze (I guerra mondiale).
- Storici non marxisti – Negano che l’imperialismo abbia radici economiche rilevanti e si sono concentrati su spiegazioni di carattere psicologiche, ideologiche, culturali e rpolitiche. Non sempre l’espansione imperialista ha portato al conflitto (ad esempio tra Gran Bretagna e Stati Uniti c’è sempre stato una relazione amichevole). Inoltre il vantaggio nel possesso delle colonie non era affatto certo. Gli investimenti nelle aree coloniali non fu mai significativo; e anche i nuovi mercati in Asia e Africa furono tutt’altro che redditizi.
Tra i primi spicca l’analisi di Lenin del 1916 (“L’imperialismo fase suprema del capitalismo”): in questo citatissimo testo indica nell’imperialismo l’ultimo stadio del capitalismo, quello dello sfruttamento dei popoli terzi,per la sopravvivenza stessa del sistema. Sebbene la teoria si sia dimostrata nel tempo non realistica – in virtù della straordinaria capacità del capitalismo di riformarsi – la posizione che evidenzia il nesso tra economia e impero sembra senz’altro rilevante.
Anche se dal punto di vista strettamente economico solo per la Gran Bretagna l’imperialismo si è dimostrato necessario, esistevano una serie di condizioni che “invitavano” i governanti europei a cercare un “posto al sole” nello scacchiere internazionale.
• GLOBALIZZAZIONE DELL’ECONOMIA. Per la prima volta esiste una unica economia mondiale (oggi detta “prima globalizzazione” a fronte dell’attuale globalizzazione, che sarebbe la seconda). I paesi non industrializzati entrarono nell’orbita dei processi industriali – grazie anche a comunicazioni più veloci – come fornitori di materie prime: intere regioni furono stravolte per adattare l’ambiente e la popolazione all’estrazione di metalli o caucciù oppure per avviare monoculture estese per i mercati del nord del mondo. Infine, ma questo aspetto è secondario, servirono anche come mercati in cui piazzare le merci, in genere prodotti finiti, usciti dalle fabbriche europee.
• CAPITALISTI VOGLIONO LE COLONIE. La borghesia commerciale e gli industriali fanno un grande pressione verso i governi perché si impegnino in una politica espansionistica. Anche se in realtà NON ERA NECESSARIA, i governi si comportarono COME SE lo fosse stata.
• RISCATTO NAZIONALE. Spesso la spinta coloniale è strettamente legata alla costruzione di una identità nazionale, e svolge quindi una funzione di propaganda, sempre più importante nella nascente società di massa (offrire agli elettori la gloria di popolo superiore anziché riforme per vivere meglio). Nelle classi medie il messaggio passò molto bene, ma anche nella classe operaia la propaganda coloniale aveva il suo fascino. Fu coniato il termine “imperialismo sociale” per indicare l’opzione coloniale come arma per arginare il malcontento interno.
In sostanza l’imperialismo si spiega con l’insieme dei fenomeni – economici ma non solo – che interessarono la civiltà occidentale nella seconda parte dell’800, e in particolare dal 1870 in poi.
Quali le conseguenze del dominio europeo del mondo?
Se dal versante dei conquistatori i vantaggi furono molto diversificati a seconda del paese, e in generale NON FURONO FONDAMENTALI per lo sviluppo e la modernizzazione; dal versante dei conquistati l’imperialismo rappresenta il cataclisma fondamentale della civiltà non occidentale: fu un momento “drammatico e decisivo” che unì allo sfruttamento materiale la distruzione culturale: “La conquista del globo da parte della minoranza “sviluppata” trasformò immagini, idee e aspirazioni sociali, con la forza e le istituzioni, con l’esempio e con i mutamenti sociali.” [1]
Come si vedrà nella sezione dedicata alla decolonizzazione, lo stesso movimento anticoloniale attinse a piene mani dalla cultura europea, contribuendo a distruggere a prezzi altissimi, la precedente cultura indigena. Imponendo stati nazionali omogenei in lingua, etnia e costumi dove da secoli le appartenenze e le identità erano quelle della tribù, del villaggio o della comunità; imponendo modelli economici estranei alla vita delle popolazioni rurali eccetera eccetera.
In pratica non fu tanto l’imposizione del modello occidentale a devastare l’Africa (in primo luogo), l’Asia e il Sudamerica, quanto la sistematica distruzione di tutto quello che c’era. Operazione peraltro quasi indispensabile, vista la ostinata incompatibilità delle tradizioni e degli stili di vita dei popoli del mondo extra-europeo con il modello capitalista/mercantile di europei e nordamericani.
[1] Hobsbawm, cit., p.90